Aggiornamento: in questo momento pare che il governo iracheno si sia messo in una posizione diversa da quella sbandierata ieri, molto più cautelativa: Khalifa Ibrahim non è stato ucciso e nemmeno colpito, perché (forse) non era nel convoglio. Interessante sottolineare come in precedenza il trionfalismo vuoto di Baghdad assegnava invece il merito dell’operazione “sul califfo”, al perfetto funzionamento del nuovo centro di coordinamento di cui l’Iraq fa parte insieme a Russia, capofila, Iran e Siria, e che fa base proprio nella capitale irachena. Questa coalizione, che è stata già soprannominata “4+1” perché è composta dai quattro Paesi sopra elencati più la milizia sciita libanese Hezbollah, si è formata in seguito dell’intervento militare di Mosca nel conflitto siriano e prospetta l’estendersi delle operazioni russe all’Iraq. Un altro tassello che spiega come questo conflitto si combatta anche a colpi di retorica e propaganda.
Domenica il governo iracheno ha fatto sapere attraverso la tv di Stato di aver colpito in un raid aereo il convoglio in cui viaggiava il califfo Abu Bakr al Baghdadi nella regione dell’Anbar. Dire che è una “notizia da prendere con le molle” è un eufemismo: nell’ultimo anno è almeno la terza volta che Baghdad si dice certa di aver colpito il Califfo. E c’è chi su Twitter ci ha fatto sarcasmo, del tipo “è più facile che Baghdadi muoia sciando sulle nevi svizzere, piuttosto che sotto un raid iracheno”.
Poi però la questione ha preso più corpo, e il New York Times ha scritto che «otto figure di alto livello dell’Isil [acronimo omologo ad IS o Isis] sono rimaste uccise in un airstrike nell’ovest iracheno», ma ha specificato che il Califfo non sarebbe tra queste. Sono state fonti locali ed ospedaliere a confermare la situazione al Nyt, sebbene s’erano già diffuse delle voci sulla possibilità che i seguaci avessero portato via il corpo di Baghdadi per nasconderlo da occhi indiscreti. È dunque impossibile verificare adesso l’attendibilità della notizia: per certe cose serve il tempo, e anche ammesso dovesse essere vero (perché magari Baghdadi non era nemmeno a bordo dei veicoli), sarà il gruppo a decidere sulla convenienza o meno della conferma, vedere il caso del Mullah Omar di cui i talebani hanno confermato la morte soltanto quattro anni dopo il decesso.
Già nel novembre del 2014 la Falcon Intelligence Cell irachena, unità antiterrorismo del ministero dell’Interno, aveva già annunciato di aver colpito il Califfo nella stessa medesima area, dove evidentemente ritiene molto attendibili gli informatori. Anche in quell’occasione sarebbe stato centrato da un raid areo il convoglio in cui viaggiava il capo dei baghdadisti, ma il portavoce dello Stato islamico Abu Mohammed al Adnani ai tempi replicò alla diffusione della notizia: «Pensate che il Califfato finisca con il martirio del Califfo? Assicuriamo la nazione che lui sta bene, pregate affinché recuperi», commento che poteva far pensare anche al fatto che in effetti Baghdadi potesse essere stato ferito.
Non si sanno ancora le identità dei leader coinvolti nell’attacco di domenica, che avrebbe centrato i veicoli con cui erano arrivati per un summit di alto livello a Karabla (da non confondere con la città santa sciita Kerbala), cittadina della regione dell’Anbar, il tratto di Iraq che si collega alla Siria. L’Anbar è un’area a forte concentrazione sunnita dove il Califfato ha attecchito fin dalle sue origini e che adesso garantisce continuità territoriale allo Stato islamico ─ nella zona le linee di confine, quelle degli accordi di Sykes-Picot, furono cancellate dalla ruspe dell’IS, in una cerimonia simbolica avvenuta nei giorni della proclamazione del Califfato.