Skip to main content

Perché Landini toppa sul lavoro

Intervenuto a Ballarò, l’ospite fisso Maurizio Landini ha riletto a suo modo i dati sull’occupazione forniti dall’Inps (che sono parziali in quanto basati sulle dichiarazioni dei datori di lavoro e dei sindacati, occorre sempre ricordarlo, gli unici da prendere in considerazione sono quelli dell’Istat). Landini, capo della Fiom, il sindacato dei metalmeccanici, e di un movimento politico di sinistra radicale che si oppone al governo, indossando entrambi i cappelli ha sottolineato che oltre due terzi dei posti di lavoro generati da gennaio ad agosto sono precari, quindi ha torto Matteo Renzi a twittare che con il Jobs Act si è sono creati più diritti e più lavoro.

Landini dice bene, perché il 38% soltanto dei nuovi occupati ha un posto fisso, ma avrebbe dovuto specificare che due anni fa la quota era del 32%. Quindi, anche Renzi non ha tutti i torti. Né Landini né Renzi, per ragioni opposte, hanno messo il dito su un’altra piaga: la maggior parte della occupazione nuova è sovvenzionata indirettamente dallo Stato, e ad essa va aggiunta anche quella direttamente sostenuta attraverso la cassa integrazione.

Altro che liberismo (naturalmente selvaggio se no che liberismo è?) come dice Landini, altro che mercato del lavoro in movimento, come vorrebbe Renzi: il Jobs Act finora ha creato lavoro assistito che si aggiunge a quello alimentato dai tradizionali ammortizzatori sociali. Ciò vuol dire che il mercato è ancora rigido e lo resterà.

Vediamo i dati Inps. Nei primi 8 mesi dell’anno ci sono stati 3,2 milioni di nuovi contratti, con un saldo positivo rispetto ai posti di lavoro distrutti, pari a 423 mila. Gli occupati con un contratto a tempo indeterminato sono stati un milione e 164 mila, di questi 790 mila godono dell’esonero triennale dei contributi (a carico di tutti i contribuenti). Per la precisione, si tratta di 610 mila contratti nuovi di zecca mentre quasi 180 mila hanno visto trasformare il loro contratto a termine. La Cassa integrazione nel 2014 ha protetto 3,9  milioni di persone, per un costo di 23,9 miliardi di euro (stime della Uil): 9,6 miliardi sono stati coperti dai contributi dei lavoratori e dei datori di lavoro, 14,6 miliardi sono a carico della fiscalità generale.

Il governo con la prossima finanziaria dovrebbe cominciare a ridurre la sovvenzione contributiva per i nuovi assunti, in modo da abolirla completamente al termine del triennio. Insiste su questo Pier Carlo Padoan non solo perché il ministro dell’Economia deve far quadrare i conti dello Stato, ma anche perché, da buon economista, sa che l’incentivo funziona all’inizio, quando si trasforma in sussidio assistenziale diventa invece costoso e inefficace. Ma che cosa accadrà nel momento in cui i datori di lavoro dovranno pagare tutti i contributi per i nuovi assunti? Una preoccupazione sollevata dai sindacati, giustamente dal loro punto di vista.

La questione è più ampia e complicata: senza sostegni dello Stato (coperti con le tasse e/o con il debito) l’economia italiana non riesce a creare posti di lavoro stabili, sufficienti a incontrare la nuova offerta di forza lavoro e compensare gli effetti della ristrutturazione indotta da una recessione durata ben sette anni. Il mercato del lavoro è bloccato e asfittico nello stesso tempo. La produttività del sistema è troppo bassa. La crescita non riparte.

In questo triangolo, secondo Landini (ma anche secondo Susanna Camusso, la sinistra del Pd e la destra protezionista), la prima mossa tocca al governo che, con investimenti pubblici a carico delle tasse e/o del debito, deve rimettere il moto la macchina e aumentare l’occupazione.

Per il partito trasversale dei vecchi e nuovi statalisti, il mercato del lavoro segue, come le salmerie nell’esercito. Secondo i seguaci dell’economia dell’offerta, al contrario, la liberalizzazione è determinante per aumentare la produttività, quindi il reddito individuale e nazionale. Non è certo il caso di infilarsi in una disputa dottrinaria diventata come la querelle scolastica sul sesso degli angeli. La prova della realtà, che è sempre determinante, ci dice che liberalizzare l’impiego di forza lavoro non è sufficiente a creare, di per sé, nuovo reddito; ma è certo che, mantenendolo ingessato e sovvenzionato, si perpetua l’attuale stagnazione.

Stefano Cingolani 


CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter