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Restiamo in Afghanistan?

Tra legge di stabilità, migranti, Merkel, sinistra PD, visite di Stato, pentastellati, poliziotti in piazza e chi più ne ha più ne metta, al nostro Presidente del Consiglio i grattacapi certo non mancano. Però, visto che la capacità di decidere in fretta su ogni cosa è la sua più grande risorsa, in genere riesce a liberarsi con celerità di ogni sorta di problema. Con le questioni che girano attorno a Esteri e Difesa, però, è costretto ad andare assai cauto: non ce ne è una dove si possa decidere con la consueta rapidità e ciò, con ogni probabilità, lo infastidisce parecchio. La Difesa, poi, è una vera seccatura, perché una sola parola detta nel momento sbagliato è in grado di far ruzzolare il totovoti ai minimi livelli.

Il ministro Pinotti è molto brava, ma su certe cose solo Renzi potrebbe decidere. Però non lo può fare, perché gli si mettono subito di mezzo rossi, verdi, neri, Obama, Putin, Nethanyau, la corte suprema indiana e perfino il nostro Parlamento, che, pur conciato male com’è, con petulanza vuol sempre sapere tutto e decidere su tutto, anche su cose già decise. E’ così che problemi come fucilieri di Marina, tagli di bilancio, joint strike fighter F-35, Iraq, Afghanistan, Libia, Siria, bombardare, non bombardare con i Tornado o continuare a fare solo innocue fotografie, mettere gli scarponi sul terreno oppure no, stare nelle coalizioni con tutti e due i piedi o con uno solo, rimanere a Herat e a Kabul oppure no, sono cose che restano sempre sul tappeto e continuano a ritornare fastidiosamente tra i piedi. Ma questa è la natura delle cose.

La frase celebre, quando si tratta di cose che riguardano Esteri e Difesa, ma sopra tutto Difesa, è “…stiamo valutando in queste ore cosa fare”. Dalle valutazioni uscirà che i marò restano dove sono, in Iraq continueremo a fare fotografie, in Siria non ci andremo proprio, né a terra ne in cielo, in Libano resteremo all’infinito, in Libia forse ci andremo (ma solo se l’Onu lo deciderà e il governo libico unitario ce lo chiederà). Tutto questo lo sappiamo, o perlomeno, lo abbiamo già capito. L’Afghanistan, invece, pare faccia eccezione. C’è sempre il famoso “…stiamo valutando”, ma questa volta l’atteggiamento sembra accentuatamente positivo. Eppure, sono passati solo pochi mesi da quando Matteo Renzi, in un’improbabile mimetica da semi-combattimento che tanto aveva divertito i nostri soldati, sul piazzale della caserma di Herat si esprimeva così: “Vi chiedo di restare ancora qualche mese, vi chiediamo uno sforzo in più, perché la fase finale è la più difficile….”. L’ultima data, in ogni caso, era il gennaio 2016.

Ora già si parla di un altro anno. Cosa è cambiato da allora? Nulla che non si sapesse già. I talebani – dialoganti o meno – stanno tornando, la gente ha paura e le fortezze militari e di polizia locali non sono in grado di proteggere il territorio. E chissà mai se un giorno lo saranno. Su cosa sia cambiato la risposta la da lo stesso presidente del Consiglio: “Avete sentito tutti cosa ha detto Barak Obama? Stiamo valutando se proseguire il nostro impegno in Afghanistan, come ci è stato chiesto dall’amministrazione americana. Se il loro impegno prosegue, allora penso sia giusto che anche da parte nostra ci sia un impegno”. La cosa non quadra, anche se certamente la richiesta americana c’è, ed è valida per tutta la coalizione. Inglesi, francesi e spagnoli se la sono svignata con il grosso dei loro contingenti appena in tempo per evitare una trappola prevista, e prevedibile.

Tornando a noi, le ragioni di questa convergenza con Obama – che se ne andrà lasciando ancora in loco 5.500 uomini, sperando con questo di far contento Pentagono e Congresso – possono essere molteplici e di varia natura, internazionali e nazionali, politiche o, più semplicemente, militari e bilancistiche. Proviamo ad immaginarle. In primo luogo, a Obama non si può dire sempre di no. Niente bombe sotto i Tornado, niente Muos in Sicilia, nessun apporto alla coalizione in Siria. Almeno sì in Afghanistan, dove ci siamo già e, con ogni probabilità, senza mettere in eccessiva difficoltà il governo di fronte al Parlamento. In secondo luogo, le missioni internazionali si vanno lentamente esaurendo, assieme ai soldi che la Difesa incamera extra bilancio. Si sa che il bilancio ordinario è stato falcidiato proprio nel settore della manutenzione e dell’addestramento, e in questo le missioni aiutano parecchio. L’operazione nazionale “Strade Sicure”, dove l’Esercito dispiega ormai il maggior numero di uomini, a questo fine rende pochino. Terzo, sotto il profilo politico non si possono lasciare soli gli Stati Uniti di fronte alle feroci critiche del Cremlino, secondo il quale la decisione di Obama conferma il fallimento americano e Nato nell’operazione Afghanistan. Saremo ricompensati.

Come? Con l’affidamento all’Italia, quando i tempi saranno maturi, di un fantomatico “ruolo guida” nella questione libica. Matteo Renzi ci tiene, ne parla in ogni occasione. Se poi si dovesse trattare di un “peace enforcing”, vale a dire di guerra, con una bella piroetta staremmo un momento a rinunciare a questa ghiotta offerta.

 



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