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Tutte le pene della Severino per il Pd

La tanto contestata legge Severino, che due anni fa costò il seggio del Senato a Silvio Berlusconi, da poco condannato in via definitiva per frode fiscale, è stata dunque salvata, in qualche modo persino rafforzata dalla Corte Costituzionale. E ciò anche se i giudici della Consulta hanno emesso il loro verdetto di assoluzione della legge non occupandosi del caso Berlusconi ma di quello, diverso e più modesto, del sindaco di Napoli Luigi de Magistris, finito nelle sue maglie con una sospensione a sua volta sospesa per una condanna solo di primo grado. Condanna non per frode fiscale, ma per abuso d’ufficio, compiuto quando era magistrato e aveva intercettato al telefono gli allora parlamentari Romano Prodi e Clemente Mastella senza le dovute autorizzazioni delle Camere di appartenenza.

La sospensione da sindaco, secondo i giudici della Consulta, le cui motivazioni saranno pubblicate in un secondo momento, è probabilmente una sanzione amministrativa, peraltro cautelativa, per cui non varrebbe la irretroattività delle pene, reclamata da de Magistris per la sua vicenda. È in questo aspetto che i due casi – di de Magistris e di Berlusconi – si sono intrecciati nelle polemiche politiche, per cui il verdetto della Consulta sembra una sconfitta per entrambi, anche se l’ex presidente del Consiglio ha potuto ricorrere solo davanti a una Corte europea, attendendone ancora il giudizio, non a quella che opera di fronte al Quirinale.

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Oltre che a de Magistris, che potrebbe comunque essere salvato dalla prescrizione dell’abuso d’ufficio contestatogli o da un’assoluzione nell’appello in corso, il verdetto della Consulta pone problemi al governatore della Campania Vincenzo De Luca, sottoposto dopo la sua elezione a procedura di sospensione a sua volta sospesa, anche lui per una condanna solo di primo grado per abuso d’ufficio, ma in veste di sindaco di Salerno.

I problemi di De Luca potrebbero a loro volta crearne a Matteo Renzi sia come presidente del Consiglio, titolare della pratica di sospensione di un governatore regionale, sia come segretario del Pd. Ma va detto che i tempi hanno giocato ormai a loro favore. Male che vada, essendo riuscito a insediarsi dopo l’elezione, il sospeso De Luca potrebbe lasciare il governo della regione nelle mani fidate del suo vice. E il Pd non correrebbe il rischio di nuove elezioni regionali. Gli bastano e avanzano in Campania le incognite delle elezioni comunali nella prossima primavera, essendo in scadenza il mandato del sindaco uscente, e scaldandosi già i muscoli a bordo campo Antonio Bassolino per un ritorno alla grande, dopo uno scomodo e lungo oscuramento.

Le sorprese per il Pd, prima ancora dalle urne elettorali vere e proprie, potrebbero arrivare dalle primarie che lo stesso Bassolino reclama, per coerenza con le sue posizioni di principio in questa materia, ma che a Napoli hanno ormai l’abitudine di partire o di arrivare, o di partire e anche arrivare col piede sbagliato, e code velenosissime di ricorsi.

L’elezione di de Magistris, l’altra volta, fu proprio l’effetto di quei veleni. Che all’ombra del Vesuvio crescono come funghi nel bosco dopo la pioggia.

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Se a Napoli il Pd piange, a Roma non ride. Neppure davanti, o proprio a causa dell’ostinata imprevedibilità e goffaggine di Ignazio Marino. Al quale il partito di Renzi ha dovuto appena ripetere che “non esistono le condizioni” per le “verifiche” e le “riflessioni” minacciosamente riproposte, in una conferenza stampa, dal sindaco dimissionario perché entrato e uscito dagli uffici della Procura solo come “persona informata dei fatti”, e non come indagato, o non ancora indagato. In ballo ci sono le spese istituzionali contestategli “vergognosamente”, per “malafede o ignoranza”, ha detto lui, dai grillini e dai “fratelli d’Italia” di Giorgia Meloni.

Il no gridatogli nuovamente dal suo partito non lascia scampo a Marino, che dovrà lasciare il Campidoglio alla scadenza dei venti giorni dalle dimissioni fissati per legge. Dovrà farlo, in particolare, il 2 novembre, giorno di ricordo dei defunti, potendo ricevere dai suoi fan, sotto la statua imponente di Marco Aurelio a cavallo, un bel mazzo di crisantemi: il fiore di giornata.

Tre giorni dopo l’ex sindaco potrà orgogliosamente partecipare all’apertura del processone di Mafia Capitale, ma senza l’addobbo della fascia tricolore, con la quale avrebbe potuto presentarsi, come parte lesa, al processo analogo, ma con meno imputati, cominciato martedì, quando lui però ha preferito la conferenza stampa di sfida al suo partito. E al processo ha mandato l’assessore uscente alla legalità Alfonso Sabella, probabilmente destinato a partecipare anche alla prossima gestione commissariale del Campidoglio.

I fastidi di Marino, comprensivi della possibilità ch’egli allestisca per le prossime elezioni comunali una insidiosa lista civica, sono comunque per Renzi inferiori o meno diretti di quelli che gli sta creando la minoranza del partito sulla strada della legge di stabilità, ex Finanziaria. Per quanto deciso a parole a non retrocedere “di un millimetro”, il presidente del Consiglio ha già dovuto promettere ai suoi critici che non sarà più generoso dell’odiato Berlusconi, per cui la detassazione delle prime case non varrà per castelli, ville e appartamenti di lusso, tassati nel 2008 dall’allora Cavaliere.

Ma neppure questo basterà probabilmente a placare certa sinistra, assetata delle lacrime dei cosiddetti ricchi, quando i ricchi naturalmente sono gli altri, perché quelli di casa non hanno debiti di pianto da pagare. Loro sono solo benestanti inconsapevoli, casuali.


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