Gli Stati Uniti e i loro alleati dovrebbero adottare una strategia globale per ridurre al minimo le conseguenze negative dell’aggressività della Russia di Vladimir Putin.
Ad esserne convinto è Michael McFaul, già ambasciatore degli Stati Uniti in Russia e oggi direttore del Freeman Spogli Institute della Stanford University.
L’OPINIONE DI MCFAUL
Per l’ex diplomatico, intervenuto con un editoriale pubblicato oggi dal New York Times, quello che è mancato finora all’Occidente è un approccio comune da adottare nei confronti della minaccia russa, diventata straordinariamente concreta con l’annessione unilaterale della Crimea e i disordini nell’Est dell’Ucraina.
“Riconoscere gli errori della Russia”, rimarca, non è sufficiente. Non possiamo “stare a guardare”, ma dobbiamo “adottare una strategia globale per ridurre al minimo le conseguenze negative delle azioni” di Mosca “e massimizzare quelli positivi della nostra”.
Cosa fare? Ad esempio, suggerisce McFaul, sarebbe il momento per la Nato di dare maggiore sostegno agli alleati che sentono il fiato russo sul collo, Polonia e Paesi Baltici, e abbandonare le esitazioni di questi mesi (l’Italia, come scritto da Formiche.net, è uno dei Paesi meno decisi nel condannare la Russia). Sarebbe anche giusto di intensificare il supporto militare, economico e umanitario a Kiev, sfruttando la disattenzione di Mosca, impegnata massicciamente in Siria più a supporto del suo sodale Bashar al-Assad che per contrastare dell’Isis. E allo stesso tempo, bisognerebbe rafforzare i ribelli siriani, per impedire ai raid russi di abbattere chiunque ad eccezione dei drappi neri. In pratica, per McFaul, i due fronti – ucraino e siriano (ma non solo) – anche se apparentemente slegati, andrebbero visti come singole tessere di un mosaico molto più ampio.
IL PERSONAGGIO
Grande esperto dell’Est Europa, McFaul ha all’attivo diversi libri scritti o curati prevalentemente durante la sua “prima vita” da professore. Testi dedicati all’autoritarismo del Cremlino e alla rivoluzione in Ucraina del 2004, che gli erano valsi, già prima del suo incarico nella Federazione russa, un’attenzione “particolare” da parte dei vertici del Paese.
NON UN GRANDE STRATEGA
Finora Putin si è mosso abilmente, quantomeno a livello mediatico. La sua propaganda, un mix di disinformazione e altre attività ingannevoli che affonda le sue radici nella nota maskirovka sovietica, centra sovente il bersaglio. Tanto spesso da aver convinto molti Paesi, soprattutto in Europa, che il padre padrone della politica di Mosca sia una sorta di genio della strategia militare, al contrario degli inetti e attendisti occidentali. Una narrativa contestata da McFaul, per il quale, “semmai, è vero il contrario”.
MENO FORTE DI IERI
Secondo lo studioso, se si guarda ai fatti, “cinque anni fa la Russia era in una posizione molto più forte, sia sul piano domestico sia su quello internazionale”. Oggi, invece, “Putin sta giocando difesa”. Negli anni passati, ricorda McFaul, le relazioni economiche e politiche tra Mosca e Washington sembravano vivere una nuova e positiva stagione, corroborata da segnali di collaborazione. Ma l’ottusità e l’obsolescenza del suo “zar”, emerse non solo nella crisi di Kiev ma anche in altri teatri (Damasco ad esempio), la sta conducendo al tracollo, come testimonierebbero l’isolamento del Cremlino e i marosi che agitano l’economia russa, messa a dura prova dalle sanzioni occidentali e dal calo prezzo del petrolio. Finora, per McFaul, a “salvare” Putin sono state le divisioni occidentali e la mancanza di un’unica strategia. Ma è solo archiviandole, conclude lo studioso, che l’Orso russo tirerà indietro i suoi artigli.