Skip to main content

Agenzia delle Entrate, verità e bugie

L’amministrazione fiscale è fuorilegge. Può sembrare l’affermazione di un folle, ed in effetti è pazzesca, ma si tratta del problema con cui fare i conti. Enrico Zanetti, sottosegretario al ministero dell’Economia, fiscalista, ha detto che l’Agenzia delle entrate deve agire “nel quadro della legge, non fuori come negli ultimi 15 anni”. Si tenga presente che è nata 15 anni fa, sicché nella legalità non avrebbe ancora fatto ingresso. Polemiche di parte e ricerca di visibilità? Se anche fosse, sarebbe irrilevante, perché la questione è in sé gigantesca e ineludibile.

Però, scusate, comincio dalle preoccupazioni del ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, che a chi dirige l’Agenzia rinnova stima e fiducia, evidentemente timoroso per il gettito fiscale. Senza il quale i conti tornano meno ancora. Ed è proprio qui che si nasconde il vizio culturale d’origine, ovvero nel pensare che l’agenzia sia una specie di cane da riporto: si fissano gli obiettivi, s’impallina il gettito evaso e il cane lo raccoglie, correndo per conto del cacciatore. Non è così. L’Agenzia non è responsabile del gettito, bensì della corretta ed efficiente amministrazione. Si può sostenere, cosa bella, che correttezza ed efficienza sono armi da usarsi contro gli evasori, ma è proprio qui che casca l’asino.

L’Agenzia ha concepito se stessa come un corpo estraneo alla pubblica amministrazione e da quella indipendente. S’è creduta una specie di magistratura, il che, a parte ogni altra (mesta e terribile) considerazione, serve solo a rendere realistica la definizione di “Stato di polizia”, giacché solo nelle dittature chi amministra la giustizia vanta non il suo legittimo funzionamento, ma le crescenti percentuali di repressione del (presunto) crimine. Più di una volta l’Agenzia s’è pensata direttamente al di sopra del governo, discettando su cosa sia giusto e cosa sbagliato, avviando “campagne” e scrivendo i testi che i ministri, diligenti quanto incapaci d’autonomia, leggevano quali posizioni ufficiali. E senza apprezzabile distinzione di schieramento.

Tale madornale errore culturale, del resto, si ritrova nelle parole del suo creatore, Vincenzo Visco, il quale, ancora ieri, ribadiva che l’Agenzia va messa fuori dalla pubblica amministrazione e deve funzionare come un’azienda. Deve essere sfuggito un dettaglio: la Corte costituzionale ha detto che manco per niente, trattasi di pubblica amministrazione. E di che altro? Accidenti.

Peccato che in questa pubblica amministrazione i dirigenti venivano nominati senza concorso e in violazione della legge, talché s’è dovuto prendere atto che ben 767 posizioni erano e sono illegittime. Ammettiamo per un momento che, al di là dell’illegittimità formale, quei 767 fossero effettivamente i più bravi. Ebbene, più della metà oggi denuncia lo Stato, per non avere provveduto a far rispettare la legge dentro l’Agenzia, quindi per averli esposti all’ingiusta perdita del maggiore stipendio nel frattempo maturato. Vuol dire che se erano i più bravi non fanno che confermare l’illegalità nella quale è vissuta l’Agenzia. E se non erano i più bravi, confermano che oltre all’illegalità c’era anche il clientelismo, il familismo e le cordate. I concorsi, inoltre, sono stati banditi, ma fermati da ricorsi avverso bandi scritti male, quindi incapaci di resistere al giudizio. Il tutto in capo all’amministrazione che inchioda i contribuenti anche per errori formali nelle loro pratiche fiscali. E’ chiaro, adesso, di che stiamo parlando?

C’è di più. Forse qualcuno ricorda lo “statuto del contribuente”, ove si esclude la regolarità di modifiche fiscali con effetti retroattivi e continui cambiamenti delle leggi, che dovrebbero essere chiare e di univoca lettura. Qui siamo arrivati a introdurre l’“abuso di diritto”, che con la chiarezza della norma fa scopa quanto la violenza carnale con i fidanzatini di Peynet. E, del resto, il governo si fa vanto di misure importanti contro l’evasione fiscale, fra le quali inserisce lo split payment, ovvero il fatto che le pubbliche amministrazioni non versano più l’iva ai fornitori, ma direttamente allo Stato. In questo modo realizzando il capolavoro: non solo la pubblica amministrazione non paga i fornitori, dato che i debiti commerciali restano altissimi, sebbene a Montesenario non si fece pellegrinaggio, ma toglie loro anche la cassa dell’iva. Gemello privato è il reverse charge, con l’iva versata da chi acquista e non da chi vende. Ma siccome le grosse aziende hanno preso il vizio dello Stato (che non potrebbe neanche dignitosamente condannarle), anche loro pagano con gran ritardi. L’iva è la sola cosa che si paghi nei tempi stabiliti. Alla faccia della spinta alla ripresa.

Il tema in discussione, pertanto, non è la sorte della dottoressa Rossella Orlandi, direttrice dell’Agenzia, piuttosto la differenza fra cittadini e sudditi. I secondi possono accettare che l’Agenzia continui a funzionare inseguendo un presunto bene e praticando la violazione della legge. I primi no. I cittadini avrebbero diritto a non subire un simile scempio.

Post pubblicato sul profilo Facebook di Davide Giacalone

www.davidegiacalone.it

@DavideGiac


×

Iscriviti alla newsletter