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Raffaele Cantone, magistrato o politico?

C’è qualcosa di peggio della pur improbabile politica che prevarica sulla magistratura, o che solo ci prova, e dell’assai più probabile magistratura che prevarica sulla politica, o che solo ci tenta. Spesso abusando della delega purtroppo ricevuta dalla stessa politica a sostituirsi al governo e al Parlamento nell’azione di contrasto, per esempio, al terrorismo prima, alla mafia poi, alla corruzione poi ancora, o a tutti questi fenomeni insieme.

Peggiore dell’uno e dell’altro scenario è la commistione voluta, e sempre più frequente, fra politica e magistratura su terreni dove alla fine non si capisce più dove finisce il ruolo del magistrato e comincia quello del politico, o viceversa. Per cui si produce una confusione che danneggia entrambi, come cerca da tempo, e inutilmente, di ammonire l’ex presidente della Camera Luciano Violante. Che prima ha fatto il magistrato e poi il politico, in entrambi i casi con grande visibilità.

L’ultimo prodotto di questa confusione è l’uscita del magistrato Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità anti-corruzione, fortemente sostenuto a quel posto dal capo del governo Matteo Renzi. Non parlo dell’uscita da lui appena minacciata dal sindacato delle toghe, per comprensibile protesta contro gli attacchi allusivi mossigli davanti al recente congresso dal segretario dell’associazione, fra gli applausi di molti colleghi abituati a scambiare per intruso o traditore chiunque di loro osi collaborare con il governo. Come provò il povero Giovanni Falcone, da dirigente del ministero della Giustizia, prima di essere ucciso dalla mafia. Parlo della sortita di Cantone a favore di Milano “Capitale morale” d’Italia, finalmente riscattata dal fango di Mani pulite, e contro Roma, priva ormai degli “anticorpi” necessari a farne una comunità onesta, Capitale in tutti i sensi, non sono in quello politico.

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La pezza che poi lo stesso Cantone ha voluto mettere alla sua sortita, dicendo di avere voluto solo “stimolare, non giudicare”, cioè condannare Roma, è stata peggiore del buco. Va bene che la pena deve avere una funzione più rieducativa che vendicativa, ma quello che Cantone ha intentato contro Roma non è stato un processo penale ma, più semplicemente e rapidamente un processo mediatico, i cui verdetti sono tanto rovinosi quanto irrevocabili. Altro che stimolanti.

A Milano, peraltro, è vero che sta concludendosi con successo l’Expo 2015, nonostante le disavventure giudiziarie della vigilia, ma è anche vero che è appena esplosa una santabarbara come quella della sanità. E con l’arresto del vice presidente del governo regionale.

Ma poi, che titolo ha Cantone per promuovere o degradare le città italiane? Per sua fortuna i romani, notoriamente e spesso persino simpaticamente indolenti, ai quali per sfiancarsi bastano e avanzano i disagi derivanti dall’essere cittadini della Capitale istituzionale, dove si addensano solo per questo cortei e dimostrazioni che spesso mettono a soqquadro strade e quartieri, e fanno impazzire un traffico già di per sé malato; i romani, dicevo, non aspetteranno Cantone davanti al suo ufficio per sommergerlo di insulti e di pomodori.

Non capiterà a Cantone la sorte di Bettino Craxi, eccezionalmente assaltato nel 1993 davanti all’albergo Raphael da una folla aizzata da un raduno politico nella vicina Piazza Navona. Né quella di Giuseppe Garibaldi, che per averli solo ammoniti ad essere “seri”, come ha ricordato sul Messaggero Marco Ventura, fiutò un’aria così brutta da uscire, anzi “fuggire per un pertugio laterale” dall’albergo dove risiedeva, a Largo Chigi.

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Un’attenuante va comunque riconosciuta, nella sua avventata e improvvisata funzione di classificatore della moralità delle città italiane, al presidente dell’Autorità anticorruzione e magistrato Cantone. L’attenuante dello spettacolo offerto non solo ai romani, salve le centinaia di tifosi che lo acclamano di tanto in tanto sotto la statua dell’incolpevole Marco Aurelio, ma a tutto il mondo dal sindaco Ignazio Marino. Che da anticorpo della mafia e della corruzione, come si era orgogliosamente proposto ai cittadini e come Cantone praticamente ha dimostrato di non ritenerlo, ha voluto diventare un ordigno esplosivo. Egli è davvero riuscito, come minacciava, a dimettersi da dimissionario, a ritirare cioè le dimissioni, alla ricerca addirittura di una uscita dal Campidoglio con il cosiddetto onore delle armi. Che lo sconfitto, in guerra, ottiene a insindacabile e non imposto giudizio del vincitore: in questo caso, il segretario del suo partito, e presidente del Consiglio, affrettatosi già prima dell’estate ad esprimere la non brillante opinione che aveva di lui, peggiorata nel bizzarro autunno in corso.

Marino è finito, suo malgrado, nella stessa situazione ch’egli imprudentemente contestò d’estate a quella signora romana del quartiere di San Lorenzo che gli rimproverò “la buffonata” di una visita di cortesia e di controllo preceduta da ore di pulizia delle strade e delle piazze destinate a tornare e rimanere sporche dal giorno dopo in poi. Marino, medico chirurgo specializzatosi all’istante anche in psichiatria, invitò la povera donna a “connettere i due neuroni che ha”, evidentemente scollegati. Seguirono giustificatissime ma inutili polemiche, non essendo mai pervenute alla donna le scuse alle quali aveva diritto. Ora i neuroni da collegare pare che siano proprio quelli di Marino.



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