Fra i miracoli prodotti dall’ex dimissionario Ignazio Narciso Marino, come molti ormai confidenzialmente chiamano in Campidoglio il sindaco di Roma per scherzare sul suo continuo autocompiacimento, c’è quello di avere fatto tentare dal giustizialismo anche quei pochi, veri garantisti che sono rimasti in questo sfortunato Paese.
A precedere la notizia del ritiro delle dimissioni è stato, fra l’altro, il tentativo degli avvocati o amici di Marino, denunciato nel salotto televisivo di Piazza Pulita dall’assessore dimissionario alla legalità Alfonso Sabella, di far credere avviata l’archiviazione di un’indagine per truffa su Marino alla Procura di Roma, in ordine alle vicende controverse di assunzioni e varie di una Onlus da lui presieduta. Un preannuncio così malaccorto e imbarazzante, per le circostanze in cui era intervenuto, da costringere la Procura a una spazientita smentita. Che è riuscita gradita, proprio per le circostanze politiche, anche a qualche garantista, appunto.
Si è inoltre saputo, sempre in coincidenza con le sfide di Marino al suo partito e a chiunque altro ne attendeva un’ordinata e rassegnata uscita di scena, che la Procura di Roma ha formalizzato le indagini sul sindaco per peculato e falso sulla faccenda degli scontrini per cene pagate con la carta di credito del Comune, e con finalità non sempre istituzionali. Indagini dalle quali invece il sindaco allora dimissionario si era recentemente vantato di essere estraneo dopo quattro ore di interrogatorio negli uffici giudiziari in veste di persona “informata dei fatti”, e non quindi indagata. Annuncio, questo, lasciato cadere nel vuoto dalla Procura per motivi di apprezzabile segretezza del suo lavoro inquirente e di altrettanto apprezzabile distacco dalla critica vicenda politica di cui Marino era protagonista con le sue dimissioni. Un distacco che non ha potuto però reggere evidentemente al comportamento dell’indagato.
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A muovere a Marino, con linguaggio neppure tanto velato, l’accusa di avere mescolato le sue vicende giudiziarie e politiche è stata una fonte insospettabile come il suo vice sindaco dimissionario Marco Causi, inutilmente spesosi sino all’ultimo per convincerlo a lasciare il campo senz’altre forzature e bracci di ferro.
Causi, peraltro parlamentare del Pd, eletto in Sicilia, non ha mosso questo rimprovero a Marino con qualche dichiarazione, ma nell’editoriale affidatogli dall’Unità a commento proprio della situazione incandescente creatasi in Campidoglio con l’annuncio del ritiro delle dimissioni del sindaco.
In particolare, l’ex vice sindaco ha lamentato la pretesa di Marino di “una rimozione psicanalitica” dei suoi problemi giudiziari, che non sono proprio il companatico ideale dell’azione moralizzatrice vantata dal sindaco nell’esercizio del suo faticoso e controverso mandato.
D’altronde, sulla storia degli scontrini e degli ospiti delle sue cene pagate così discutibilmente dal Comune ch’egli stesso ha poi deciso di restituire alcune migliaia di euro, pur dicendo di “regalarli” alle casse capitoline, Marino continua a essere pizzicato e sfottuto anche da giornali che lo sostengono, in funzione antirenziana, nel braccio di ferro con la dirigenza nazionale del suo partito.
Per dirne solo una, sul Fatto la solita cattiveria quotidiana in prima pagina a commento del ritiro delle sue dimissioni ha attribuito a Marino queste parole: “Per festeggiare stasera offro io”. Imperdibile come battuta, ma forse non solo come battuta.
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Battute a parte, la stampa antirenziana, ma anche certa stampa filorenziana incline però a compensare le sue simpatie per Renzi con rilievi a qualche sua iniziativa, contesta l’opportunità, se non addirittura la legittimità, della reazione del segretario del Pd, e del presidente Matteo Orfini, commissario del partito romano, all’ultima sfida di Marino. Il tentativo, cioè, immediatamente avviato e riuscito di raccogliere le dimissioni della maggioranza del Consiglio comunale, fatta dei 19 del Pd e di altri 7 di area più o meno centrista, facendo quindi decadere e sciogliere assemblea capitolina e giunta, o quel poco che ne rimaneva. Interviene ora la gestione commissariale pre-elettorale.
Se la pretesa di Marino, attribuitagli con tanto di virgolettato in uno scontro con Orfini, era quella di “uscire non dalla porta di servizio ma dall’aula di Giulio Cesare”, anche a costo di sfidare persino la incolpevole statua che la sovrasta, il Pd ha deciso di svuotargliela, quell’aula. Dove il sindaco pertanto potrebbe entrare da solo, se gli uscieri glielo consentissero, per limitarsi a contemplarne la vastità. E sentire, magari, l’eco del grido del suo ex assessore Stefano Esposito, che gli ha dato dalla piazza, papale papale, dell’indagato “bugiardo”, avendo abusato della fiducia accordatagli con l’ingresso nella sua giunta al momento del bisogno.
Al punto in cui lo stesso Marino ha voluto portare lo scontro con il suo partito, riesce francamente difficile capire quali ulteriori elementi di conoscenza e di giudizio, dopo tutto quello che si è detto e scritto, avrebbero potuto venire al pubblico con il dibattito reclamato nel Consiglio Comunale. Dove Marino e i suoi residui sostenitori potevano solo togliersi la soddisfazione di vedere votare contro il sindaco, insieme, pidini e destra, o pidini e grillini, o tutti insieme. Un capolavoro, questo di Marino, non di astuzia, da investire poi elettoralmente contro il Pd, ma di autorete.