Basteranno solo 48 ore, alla Nato, per dispiegare in caso di emergenza una nuova forza di reazione rapida, la Very High Readiness Joint Task Force (Vjtf). Concepita nel pieno della crisi ucraina, la brigata sarà pienamente operativa dal 2016 e conterà su circa 5mila uomini.
A COSA SERVE
“Non si tratta di attaccare, ma di essere pronti a difendersi”, ha spiegato ieri il comandante del Joint Force Command di Brunssum, in Olanda, il generale Hans-Lothar Domröse, “per tenere fede al principio sancito dall’articolo 5 del Trattato atlantico”, la cosiddetta “clausola d’impegno” reciproco in caso di aggressione.
Com’è nella natura difensiva dell’Alleanza atlantica, ha detto l’alto ufficiale tedesco parlando alla sede madrilena della Fundación Botín, la Vjtf non nasce con intenti offensivi, ma per rassicurare gli Stati membri e “fare da deterrente” nei confronti di alcune minacce. Una necessità espressa soprattutto da Polonia e Paesi Baltici, preoccupati dal montante attivismo russo nell’Est dell’Europa. Ma anche da capitali del “fianco Sud”, Roma compresa, allarmate dalla crescita dello Stato Islamico, dai flussi migratori incontrollati e dall’instabilità che ha portato al collasso di molti governi del Medio Oriente e del Nord Africa.
COSA FARÀ
La Vjtf “rafforzerà le capacità di difesa collettiva dell’Alleanza e assicurerà che la Nato possa contare su forze all’altezza in caso di crisi”, ha sottolineato Domröse a un evento del Real Instituto Elcano, organizzato in collaborazione con l’Istituto Affari Internazionali. “Assistiamo a conflitti sempre più complessi, basati su attacchi cibernetici, elementi ibridi, satelliti e disinformazione mediatica”. Ciò, ha aggiunto, può generare “insicurezza” e trasmettere “il messaggio sbagliato” che la Nato “non sia pronta a difendersi. Non è così”.
Facile pensare alle ultime mosse di Mosca denunciate dall’Occidente, come l’annessione della Crimea e il sostegno di armi e uomini offerto ai separatisti nella parte orientale dell’Ucraina. Ma anche ai bombardamenti in Siria a sostegno del dittatore Bashar al-Assad. Tuttavia, ha ribadito mercoledì il vice segretario generale Alexander Vershbow, rassicurando il presidente Vladimir Putin sullo spirito non belligerante dei piani Nato, “la Russia di oggi non è l’Urss e questa non è una nuova Guerra fredda”. A seguito della globalizzazione, “i Paesi sono interdipendenti”, soprattutto sul piano economico. Il mondo è cambiato e con esso l’Alleanza, che vede nel futuro, in Mosca, un partner con cui cooperare, se essa lo vorrà. La Russia è stata invitata a partecipare come osservatore alle esercitazioni di Trident Juncture 2015, la maxi esercitazione militare che si svolge fino al 6 novembre tra Italia, Spagna e Portogallo. “Non c’è contraddizione. È nostro interesse”, ha rimarcato l’ambasciatore americano, che la Russia “sia dialogante, stabile e integrata. Nato e Russia hanno bisogno di avere relazioni più trasparenti e prevedibili per evitare fraintendimenti”.
COM’È ORGANIZZATA
Soprannominata Spearhead (punta di lancia), l’unità farà parte della più ampia forza di pronto intervento dell’Alleanza, la Nato Responce Force (Nrf), nata nel novembre del 2002 e costituita da circa 40 mila soldati equipaggiati con altissima tecnologia. Entrambe sono, a loro volta, tasselli del Readiness Action Plan (Rap), il piano di azione rapida concordato dagli Stati membri nel settembre del 2014 durante il summit in Galles.
IL COLLEGAMENTO CON TJ2015
Il prossimo vertice dell’Alleanza, che si terrà a Varsavia a luglio, servirà anche a fare il punto sull’avanzamento di questo programma. Un percorso che ha in Trident Juncture uno snodo fondamentale. Il test, ha rilevato Domröse, farà in modo con “circa 35 mila soldati, oltre 140 aerei e 60 navi provenienti da 30 Paesi” di verificare appieno le nuove capacità di risposta rapida della Nato. Ma, soprattutto, consentirà “di dare la certificazione al Comando di Brunssum per guidare nel 2016, come quartier generale di comando e controllo, la Nrf”, di cui farà parte anche il corpo d’élite.