A un anno dall’Election Day, l’8 novembre 2016, i repubblicani danno un super-lavoro (inutile) al Secret Service, che, in assenza di un chiaro favorito per la nomination, deve assicura la protezione ad almeno due loro candidati, Donald Trump, magnate dell’immobiliare e showman, e Ben Carson, ex neurochirurgo nero; il bello è che nessuno dei due otterrà l’investitura.
I democratici, invece, non creano nessun problema: la candidata (quasi) unica è Hillary Clinton: basta badare a lei, perché l’unico suo rivale agguerrito, Bernie Sanders, senatore del Vermont, indipendente e socialista, non ha chances d’ottenere la nomination.
La corsa, virtuale fino al 1° febbraio, quando le assemblee nello Iowa inaugureranno la stagione delle primarie con l’attribuzione di delegati alle convention, ruota tutta sull’incertezza repubblicana: 15 gli aspiranti ancora in lizza; due gli attuali battistrada – appunto Trump e Carson, l’unico nero -; ma dietro di loro, campioni dell’anti-politica, cominciano a posizionarsi i candidati più accreditati nei pronostici, i senatori della Florida Marco Rubio, di origini cubane, e del Texas Ted Cruz, vicino al TeaParty, il governatore del New Jersey Chris Christie, l’ex governatore della Florida Jeb Bush, il favorito della vigilia, ma finora molto sotto tono nelle sortite pubbliche e nei dibattiti televisivi. Viaggia a corrente alternata Carly Fiorina, l’unica donna, ex ceo della Hp, bravina nei dibattiti, ma poi vittima di eclissi mediatiche.
La Abc è stata la prima a fare sapere che il Dipartimento per la Homeland Security ha autorizzato misure di tutela, 24 ore su 24, per Trump e Carson, che ne avevano fatto richiesta formale. Circa 300 agenti saranno adibiti alla loro sicurezza. E’ prassi che i candidati di punta alla nomination chiedano, e ottengano, protezione, in questa fase della campagna elettorale.
Ma sia Trump che Carson appaiono in fase calante. ‘Pel di carota Donald’ s’è logorato tra gaffes e battute ed è costretto a recitare se stesso, rincarando di volta in volta la dose e compromettendo ulteriormente la sua credibilità – da ultimo, ha attaccato il presidente Obama, la Federal Reserve, che agirebbe sui tassi in comutta con la Casa Bianca, e i leader europei, che sono “un disastro” sull’immigrazione -. Carson, che faceva del silenzio la sua arma migliore, sta inciampando in una serie di falsità sul suo passato: una gioventù violenta e una borsa di studio per l’accesso all’accademia militare, ad esempio, di cui non vi sono riscontri.
Suscita sorrisi ironici, e pure pensieri inquietanti, la sua teoria che le piramidi non sarebbero tombe dei faraoni ma granai costruiti da Giuseppe, uno dei figli di Giacobbe che visse in Egitto, secondo l’Antico Testamento. Carson illustrò questa sua teoria nel 1998 alla Andrews University, un Ateneo del Michigan legato alla Chiesa avventista del Settimo giorno, la sua Chiesa. Il video del discorso, riproposto su un sito, è rimbalzato sui maggiori media. Carson, che parla spesso della sua fede e che nega l’evoluzionismo, non ha cambiato idea sulle piramidi: “Ne sono ancora convinto”, ha ribadito alla Cbs News.
Ma se i campioni dell’anti-politica, in fuga nei sondaggi, danno segni di fatica, i candidati dell’establishment non sono senza pecche: Rubio, in ascesa dopo l’ultimo dibattito, ormai stabilmente terzo nei sondaggi nazionali, sta affrontando in Florida un suo ‘scontrino-gate’ che ricorda le disavventure romane del sindaco Marino; e Bush è terribilmente moscio. A tradire nervosismo, è pure suo fratello George W., il 43° presidente, che non lesina critiche al suo vice Dick Cheney e al suo segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, accusandoli di avere fatto danni all’America dopo l’11 Settembre 2001 (ma lui, all’epoca, era il comandante in capo).
I repubblicani intrecciano gli attacchi personali. I democratici appaiono molto più rilassati: dopo che il presidente Barack Obama ha bocciato un ampliamento dell’oleodotto Keystone, approvato dal Congresso, la Clinton, Sanders e Martin O’Malley, terzo in lizza, ex governatore del Maryland, si sono reciprocamente contestati la primogenitura nel no all’impianto. Un dibattito di principio, che per ora non sposta voti; e che, se diventerà un tema della campagna, troverà i democratici compatti.
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