“Il patto di sicurezza prevale sul patto di stabilità”: i rapporti tra politica ed economia si ribaltano con le nove parole pronunciate a Versailles dal Presidente francese François Hollande davanti ai rappresentanti delle Assemblee legislative, nell’ambito del discorso sulle misure necessarie per contrastare il terrorismo dopo gli attentati che hanno colpito Parigi venerdì scorso. Il richiamo esplicito del Presidente Hollande è all’articolo 4 del Trattato europeo, secondo cui: “In particolare, la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro”.
Dopo la crisi finanziaria del 2008, in Europa la politica fu chiamata a fare da ancella alla stabilità finanziaria: il Fiscal Compact introdusse vincoli ai bilanci pubblici, per contenere i deficit spaventosi determinati dalla crisi finanziaria. In Francia, era balzato dal 3,3% del 2009 all’8% del 2010, facendo saltare tutti i parametri stabiliti dal Trattato di Maastricht. Nonostante abbia adottato il Fiscal Compact e sia stata sottoposta da Bruxelle alla procedura di infrazione per deficit eccessivi, adesso la Francia fa sapere che non rispetterà, per finanziare le spese militari e per la sicurezza, neppure la previsione del deficit al 3,3% nel 2016 ed al 3% nel 2017.
E’ l’epitaffio sul Fiscal Compact: anche per il capo del governo francese Manuel Valls, i vincoli che la Francia ha assunto con l’Unione europea non valgono quando si tratta di finanziare le spese per la difesa e la sicurezza interna. E’ la fine del principio della inderogabilità del pareggio di bilancio: il deficit torna ad essere nuovamente funzionale alle scelte politiche. Va rammentato, infatti, che nel Fiscal Compact l’unica clausola di flessibilità rispetto al vincolo del pareggio era stata prevista solo per ragioni economiche, in caso di “ciclo avverso”. Anche le successive deroghe che sono state introdotte in via interpretativa, quella per gli investimenti e quella per le riforme strutturali, servivano solo ad indorare la pillola: compensano esclusivamente l’effetto congiunturalmente depressivo delle misure di austerità assunte per conseguire l’obiettivo del pareggio strutturale.
La questione sollevata dalla Francia diviene ancor più rilevante in considerazione della contestuale richiesta di solidarietà, ai sensi dell’articolo 42, comma 7 del Trattato, secondo cui “Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite.” Corrispondendo a tale richiesta, per l’Italia non si tratterebbe solo di esonerare dal limite al deficit solo le maggiori spese previste per appena 70 milioni di euro nell’ambito del Pacchetto sicurezza in discussione parlamentare, insieme a quelle militari derivanti dal più consistente impegno nello scacchiere mediorientale, ma il complesso dei tagli già effettuati al comparto sicurezza e difesa per rispettare nel 2016 i vincoli del Fiscal Compact. In pratica, l’Italia avrebbe inopinatamente sacrificato le superiori esigenze di sicurezza nazionale per banali ragioni di bilancio.
Non solo gli attentati a Parigi hanno indotto la Francia a ribaltare il rapporto tra politica ed economa per quanto riguarda la politica di bilancio, ma soprattutto ad invocare quella solidarietà europea che fu negata con strafottenza all’Italia, che subiva attacchi speculativi tanto inusitati immotivati sul suo debito pubblico nel corso dell’estate del 2012, fino alla beffarda conferenza stampa del duo Sarkozy-Merkel al G20 di Nizza.
Come se nulla fosse, la Commissione europea sta effettuando le proprie valutazioni sui bilanci per il 2016 degli Stati dell’Eurozona: la legge di stabilità italiana passa, con riserve, visto che è “a rischio di non conformità” con il Fiscal Compact, essendoci “un rischio di significativa deviazione” rispetto all’aggiustamento richiesto verso il pareggio di bilancio. Non solo l’Italia ha rinviato di un altro anno ancora, dal 2017 al 2018, il pareggio strutturale, ma nel 2016 peggiora di 3/10 di punto rispetto al previsto il percorso di azzeramento del deficit.
La valutazione della flessibilità chiesta dall’Italia slitta in primavera, quando Bruxelles valuterà il prossimo Programma di stabilità, che sarà predisposto dal governo unitamente al Def per il 2016: solo allora, infatti, la Ue valuterà se le deviazioni richieste sono usate effettivamente per aumentare investimenti, se esiste un piano credibile di aggiustamento verso il pareggio e i progressi sulle riforme. Anche per quanto riguarda la cosiddetta clausola migranti, chiesta insieme all’Italia anche da Austria, Belgio e Germania, la valutazione sarà effettuata ‘ex post’, considerandola congiuntamente alla deviazione temporanea dagli obblighi per il 2015 e 2016. Per quanto riguarda le singole misure, la Commissione ha rilevato che l’abolizione della tasi sulla prima casa non appare in linea con l’obiettivo di raggiungere una struttura fiscale più efficiente, spostando il peso della tassazione dai fattori produttivi ad altre basi di reddito, e che non sono state attuate la raccomandata riforma dei valori catastali e tutte le revisioni delle detrazioni e deduzioni fiscali, nonché la razionalizzazione delle tasse ambientali. Al Ministero della economia badano al sodo: “Grazie alle politiche del Governo, basate su riforme strutturali e politiche di bilancio orientate alla crescita e all’occupazione, la ripresa che si è manifestata nel 2015 accelera nel prossimo anno, contribuendo così al calo del debito”.
La Commissione europea vive in una realtà parallela: mentre gli Stati devono fronteggiare emergenze inusitate ed eventi eccezionali, dall’afflusso di milioni di profughi agli attentati alla sicurezza nazionale, fino a dichiararsi in guerra con l’Is, continua a mettere i puntini sulle i con il gessetto. E’ una maestrina chiusa in un angolo, dietro la sua lavagna, che ormai parla da sola.