“Salvini non è Bossi, non ha alcun carisma, è un personaggio che deve tutto al pompaggio mediatico: sono le tv a tenerlo in vita, artificialmente”. Siamo all’Università La Sapienza di Roma e a parlare è Michele De Lucia, autore del libro sul leader leghista che qui viene presentato. Matteo Salvini, sottovuoto spinto (Kaos edizioni, 176 pag, 16 euro) il titolo del volume. L’autore, saggista ed ex tesoriere del partito radicale, si è già occupato con il suo lavoro di personaggi politici, tra cui Bossi e Berlusconi. E ora è il giovane leader della Lega a catalizzare la sua attenzione. Dopo averlo a lungo studiato, la sua tesi è che, come è avvenuto per Renata Polverini, la sua esplosione anche elettorale deve quasi tutto ai media. “E’ sempre in televisione, a urlare i suoi slogan. E senza mai nessuno che gli ponga le domande giuste, che lo metta in difficoltà, smascherandone i limiti, che sono evidenti”, spiega De Lucia.
Alcuni esempi? Salvini critica di continuo la legge Fornero, ergendosi a difensore dei pensionati. Ma lo scalone delle pensioni nel 2005 chi lo inventò se non Roberto Maroni? Altro esempio: Salvini batte sempre sul tasto della legalità, ma poi la Lega non si costituisce parte civile nel processo Bossi-Belsito. E la Padania, il federalismo? Nessuno ne parla più. “La disinvoltura con cui la Lega ha abbandonato le sue istanze federaliste fa capire come quei temi erano strumentali: servivano prima, oggi non più. La Lega, oltre a essere il più vecchio partito sulla scena politica, può vantare tutti i vizi del Palazzo”, continua De Lucia.
L’identikit che esce da questo libro, dunque, è quello di una forza politica molto spregiudicata che, con Salvini, si è resettata su nuovi avversari da combattere: non più federalista ma pseudonazionale, non più i meridionali nel mirino ma gli immigrati e l’Islam. “Hanno sempre bisogno di un nemico, la Lega è un partito imprenditore delle paure, che spinge sul tasto della sicurezza dei cittadini quando gli fa comodo. Ma, nonostante gli sforzi, non riesce a essere una forza lepenista perché Marine Le Pen in Francia fa riferimento alla nazione, alla bandiera francese, cosa che non può fare Salvini in Italia. E la Padania che fine ha fatto? Sembra evaporata”, sottolinea Gianluca Passarelli, docente di Scienze politiche alla Sapienza, intervenuto alla presentazione insieme a Giorgio Rebuffa, Stefano Ceccanti, Oreste Massari e Folco Lanchester.
Nessuno, tra i presenti, ha simpatie leghiste. Ma si riconosce alla prima Lega, quella di Bossi, il valore di aver intercettato un malessere, quello della poca rappresentanza politica degli interessi del Nord nel Parlamento italiano. E per tutti Bossi aveva un “fiuto politico” che l’attuale leader non ha. “Salvini ha portato la Lega a un livello ancor più basso, volgarizzandola oltremodo e inseguendo gli istinti primordiali della massa elettorale”, spiega Oreste Massari. Che però riconosce al giovane leader il merito di emancipato il Carroccio dal copione del partito personale. “Nessuno pensava che la Lega potesse sopravvivere a Bossi e invece ora vanta consensi elettorali mai raggiunti prima. Più per demeriti altrui che per meriti propri, però”, aggiunge il professore.
Giorgio Rebuffa concorda con l’innalzamento del grado di volgarizzazione usando per il Carroccio la definizione di partito “plebeista”. Oltre il populismo, dunque. E quasi quasi alla Sapienza si rimpiange Berlusconi, l’unico in grado di fare da argine alla Lega e intercettare i voti di centrodestra moderati che ora gonfiano l’astensione o si estremizzano verso Salvini.
Ma come finirà questa partita? Secondo De Lucia “fin quando a destra non emergerà un nuovo leader, Salvini rischia di fagocitare sempre più quel che resta di Forza Italia”. A meno che “le persone non si accorgano del bluff e la sua bolla mediatica si sgonfi”. Perché “il suo elettorato reale non va oltre il 5 per cento”. Fino a quando ha il vento in poppa, però, secondo De Lucia, Renzi se la gode, “perché se i suoi competitor sono Grillo e Salvini, l’attuale premier vince facile”.