I dati sull’occupazione diffusi ieri dall’Istat dipingono un panorama complesso, nel quale letture preliminari e affrettate rischiano di creare illusioni da un lato e catastrofismi dall’altro. Due premesse sono necessarie prima di tentare una analisi: i dati mensili sono soggetti a revisioni e per questo motivo una valutazione definitiva sarà possibile solo nelle prossime settimane quando verranno pubblicati i dati del III trimestre; seconda premessa è che questi dati non sono ancora un giudizio complessivo sugli effetti del Jobs Act, per il quale è necessario aspettare ancora diversi mesi, ma offrono spunti per valutarne alcune tendenze.
CHE SUCCEDE AL TASSO DI OCCUPAZIONE
Detto questo, il dato che più colpisce e preoccupa è il tasso di occupazione che diminuisce ancora e si ferma al 56,3%. La Spagna, spesso paragonata a noi, ha ormai un tasso di occupazione superiore al 59% (pur con un numero di disoccupati molto maggiore del nostro) e l’Italia rischia sempre di più di essere il fanalino di coda dell’Europa, perdendo quei pochi decimali guadagnati a fatica nell’ultimo anno. Non si fatica quindi a comprendere le preoccupazioni dell’Ocse sulla sostenibilità finanziaria del nostro sistema pensionistico, avendo un numero di contribuenti non sufficiente a coprirne i costi.
L’ALTALENA DEI POSTI DI LAVORO
I posti di lavoro persi sono stati 39 mila ad ottobre e il calo è dato unicamente da un vero e proprio crollo del lavoro autonomo (-44 mila) sul quale sarebbe opportuno riflettere. Arriviamo così a 75mila posti di lavoro in più in un anno, dato che è molto interessante se letto in chiave qualitativa. Si scopre infatti che sui 175mila lavoratori dipendenti in più negli ultimi dodici mesi 146mila hanno un contratto a termine e solo 13mila uno a tempo indeterminato, numero che cala a 1.000 se si fanno i conti a partire da gennaio 2015, data dalla quale è in vigore la decontribuzione per questo istituto.
IL RUOLO DEGLI SGRAVI FISCALI
Non dobbiamo dimenticare che negli ultimi anni il saldo è sempre stato negativo e quindi che una inversione di rotta c’è stata ma è impossibile non chiedersi se davvero ne sia, al momento, valsa la pena, essendo i costi previsti di oltre 18 miliardi di euro (da qui al 2019, secondo la Legge di stabilità 2015). L’effetto del Jobs Act, che ha come scopo non tanto l’aumento dell’occupazione quanto l’aumento dei contratti “stabili” è al momento quindi molto debole, statisticamente irrilevante e porta a pensare come il grande numero di nuovi contratti sia andato a vantaggio di coloro che sarebbero già stati assunti unitamente alle trasformazioni contrattuali.
PERCHE’ AUMENTANO GLI INATTIVI
Sul fronte disoccupazione vediamo un leggero calo di 13mila unità, ma ampiamente compensato da un aumento degli inattivi (+ 32mila) che porta a pensare ad un travaso di disoccupati nell’enorme gruppo dei rassegnati italiani che supera ormai ampiamente i 14 milioni. È infatti importante ricordare che non sempre la diminuzione della disoccupazione è una buona notizia e non sempre il suo aumento è una cattiva. Dipende sempre dai flussi di altre categorie, se per esempio diminuisce il numero degli inattivi e questi iniziano a cercare un lavoro allora la disoccupazione aumenterà senza che il fatto sia in sé negativo.
LA MAPPA PER FASCE D’ETA’
Il terzo aspetto interessante riguarda le dinamiche occupazionali nelle diverse fasce d’età. Nell’ultimo anno il numero del lavoratori over 50 è aumentato di 226mila unità mentre la fascia 35-49 ha perso 175mila lavoratori, lasciando sostanzialmente invariate le fasce inferiori. Non si tratta quindi di un boom dei lavoratori over 50 nell’ultimo mese, come molti hanno detto ieri, ma della conferma di un trend che prosegue ormai da diversi trimestri e che vede i giovani esclusi da un mercato del lavoro che invecchia a vantaggio dei lavoratori più anziani la cui pensione si è allontanata grazie alla riforma Fornero. Non per nulla la disoccupazione giovanile torna ad aumentare, pur con una lieve e positiva diminuzione degli inattivi, che aumentano comunque di 27mila unità su base annua.
LO SCENARIO
In conclusione possiamo dire che la situazione è ancora molto critica e la lieve ripresa economica non sta portando a significativi e tanto meno costanti risultati sul fronte occupazionale. Questo sia a livello quantitativo sia, soprattutto, a livello qualitativo, con un mercato del lavoro chiuso ai giovani e alle donne e aperto a lavoratori over 50. In attesa dei dati trimestrali non possiamo che augurarci che si inizi a prendere atto seriamente del problema che questi numeri pongono, ossia di un lavoro che sta cambiando e che può diventare una possibilità per tutti solo se accompagnato da una seria modernizzazione dei modelli sociali, economici e regolatori, per evitare che la ripresa lasci indietro troppe persone.