La Scala inaugura la stagione 2015-2016 con Giovanna d’Arco di Giuseppe Verdi, opera poco rappresentata che Riccardo Chailly, Anna Netrebko e Francesco Meli (con Carlos Alvares) protagonisti della serata, hanno presentato in forma semi-scenica al festival di Salisburgo nel 2013. E’ opera molto amata da Chailly che ne concertato una delle poche riprese in epoca moderna, a Bologna circa venticinque anni fa. L’opera si è vista ed ascoltata nel 2008 anche al festival verdiano di Parma.
Alla figura di G. d’Arco si sono ispirati numerosi scrittori e artisti, che ne hanno dato diverse interpretazioni. Da Christine de Pizan, nel poemetto Le Dittié de Jeanne d’Arc (sec. 15°), la “Pucelle” è celebrata col gusto delle leggende agiografiche medievali; per Shakespeare, nell’Enrico VI (1623), ella è dapprima un’eroina nazionale, poi, nell’ultimo atto, una strega e una donna lussuriosa; Voltaire la riduce a una visionaria che procede d’avventura in avventura, sospinta da un cocente, ma insoddisfatto desiderio d’amore, nel poema La Pucelle d’Orléans (1775). Friederich Schiller, nella tragedia Jungfrau von Orléans (1801), la esalta come purissima vergine, non contaminata dalle lusinghe d’amore di Lionel, il generale avversario, e che redime il suo turbamento sentimentale nelle lotte contro il nemico. Anatole France e Charles Péguy l’esaltano, l’uno sul piano umano nella Vie de Jeanne D’Arc (1908) e l’altro in senso mistico e patriottico in tre opere a lei dedicate (1897-1913); George Barnard. Shaw, nel dramma Saint Joan (1923), ne fa la prima martire protestante e una bandiera dello spirito nazionale moderno.
Nel teatro in musica è da ricordare l’oratorio scenico di Paul Claudel Jeanne. d’Arc au bûcher, musicato da Arthur Honneger (1938; la lirica vocale da camera Jeanne d’Arc au bûcher di F. Liszt (1858 c.); le musiche di scena di Ch. Gounod per il dramma Jeanne d’Arc di J. Bardier (1873); l’opera La Pulzella d’Orléans di P. I. Čajkovskij (1881). Nella metà dell’Ottocento, in gran parte basandosi sul dramma teatrale di Schiller, oltre Verdi, molti musicisti italiani (quali Michele Carafa, Nicola Vaccai, Giovanni Pacini) e francesi si cimentarono con il tema Partire da Schiller, vuol dire porre l’accento non sul mistico e sul trascendente ma sul nazional-popolare spettacolare. In effetti, nel lavoro di Schiller, Giovanna d’Arco muore in battaglia dopo essersi liberata dai lacci che la legavano al rogo. Inoltre, tutte le opere su Giovanna d’Arco dell’Ottocento avevano un intreccio amoroso; in Schiller e Čajkovskij, la passione è tra Giovanna ed un condottiero borgognone che la tradisce quando si rende conto che lei preferisce la Patria.
In Verdi, l’intreccio amoroso, con duetti del caso, è con il Re di Francia Carlo VII. Nata, su libretto di Temistocle Solera, per essere un ‘colossal’ con grandi tableaux storici e parate militari (e per ripetere così il successo di Nabucco) è un lavoro i cui allestimenti da me visto hanno causato non pochi grattacapi alla regia (Werner Herzog a Biologna e Gabriele Lavia a Parma) per rendere l’intreccio accettabile ad un pubblico moderno. Occorre dire, tuttavia, che nel 1845 fu un grande successo poiché conteneva il dosaggio esatto di elementi sensuali e nazional-popolari, nonché arie spericolate per la protagonista. All’epoca, Giovanna d’Arco non era ancora una Santa (venne canonizzata nel 1920), quindi, per la platea ed i palchi della Scala (che si preparavano alle Cinque Giornate) era una sorta di Anita Garibaldi con elmo e corazza.
Come riusciranno Moshe Leiser e Patrice Caurier a cui è affidata la drammaturgia a risolvere questi nodi? Nella conferenza stampa hanno presentato una Giovanna che già all’epoca in cui si svolsero i fatti (tra Medio Evo e Rinascimento) era sostanzialmente un soggetto neurotico che Sigmund Freud avrebbe volentieri studiato. Divisa tra verginità e sensualità, tra amore per la famiglia e per la Patria ed il suo Re. In breve uno scoglio duro. Il sette dicembre vedremo come verrà superato.