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Perché Azione Nazionale non vuol essere la copia di FdI

Una nuova destra social-repubblicana, che sia “potabile” ed eviti di scivolare nel populismo sloganistico salviniano, tenendosi idealmente lontana dalle urla di pancia, per abbracciare invece una visione di merito (nel senso delle soluzioni ai problemi) e di fattibilità (nel senso di proposte sostenibili, non come l’aliquota unica al 15%). Si disegna così il progetto Azione Nazionale, nato qualche sabato fa al Teatro Quirino di Roma sotto l’insegna dei cosiddetti quarantenni, ovvero i firmatari della mozione in seno alla Fondazione An per stimolare un panorama unitario e moderno, che vada al di là dei singoli cortili.
Un gruppetto di aggregatori che in poche settimane hanno rimesso in moto un circuito che si era smarrito dopo il disgregamento del fu Pdl, e che nelle intenzioni vuole colmare un vuoto di idee a destra. Lo spunto da cui partono i promotori è che per creare le basi di un’opposizione al partito di Renzi non è sufficiente gridare “al lupo, al lupo” in occasione di dossier delicati come il job’s act, la buona scuola, il ttip o la controversa riforma del Senato. Bensì sia necessario costruire alternative chirurgiche, senza avvicinamenti come il patto del Nazareno, nell’ottica della non commistione con le sirene della Leopolda. Punto numero uno, quindi, una strategia chiara di alternativa (e non di compartecipazione) all’attuale esecutivo.

In secondo luogo sei battaglie tematiche. Vincere la paura, ovvero fare guerra vera all’Isis, non all’Islam senza demonizzare il diverso ma rendendosi conto che senza controlli seri e disciplinati da una regia europea, non si eviteranno altri Bataclan. Al secondo posto lo stop al Ttip: An chiede di fermare le trattative segrete in corso tra le due sponde dell’Atlantico per definire i perimetri del nuovo trattato commerciale tra Usa e Ue che presenta dei punti di pericolo per il made in Italy, per i diritti dei lavoratori e per un comparto, quello dell’enogastronomia, dove la deregolamentazione a stelle e strisce potrebbe determinare un abbassamento degli standard qualitativi italiani. Il tutto senza dimenticare che per l’80% delle Pmi italiane l’unico mercato possibile al momento è quello europeo e le imprese europee che esportano negli Usa sono solo lo 0,8% “per cui – è la vulgata in An – che questo trattato sia ad appannaggio delle Pmi non è vero”.

E ancora, un’Italia veramente unita bypassando la nouvelle tendenza della Lega che, solo oggi, si dà una veste nazionale dopo gli anni secessionisti: per cui riforme e progetti per nuove istituzioni e per far crescere insieme il nord e il sud. No al jobs act, si al new deal è il quarto punto: intesa come una grande alleanza tra ceto medio, imprese e mondo del lavoro per un vero “miracolo italiano” che non passi ad esempio da una Finanziaria in deficit come quella presentata dal governo. Infine un no all’ideologia gender e ai tagli alla sanità sulla scorta del principio che difendere la vita è anche creare un fisco familiare.

Tutto insieme, il manifesto valoriale e programmatico, va nella direzione di una destra forte e unita (dialoghi avviati già con Raffaele Fitto e Francesco Storace) per far rinascere un vero centrodestra senza passare da fantomatiche Leopolde blu, (esperimento non riuscito a nessuno dall’implosione del Pdl in poi) tramite l’apporto di culture politiche che si reinvestano pur restando fedeli al proprio dna, come gli spunti sociali di Gianni Alemanno, quelli finiani di Roberto Menia e quelli “meridionalisti” di Giuseppe Scopelliti.

Identità, dunque, come bagaglio valoriale e non come ritornello polveroso, ma anche azione. Un passaggio, quello del ritorno alle identità nell’epoca del “2.0 tout court applicato alla politica”, che è stato sottolineato qualche giorno fa su Repubblica in un lungo editoriale da Nadia Urbinati che, da sinistra, osservava come rinunciare alle due categorie politiche di destra e di sinistra “è indice di strategica ambiguità”. In quella riflessione ricorda le parole di John Stuart Mill — un liberale diffidente verso i partiti— “che il sistema rappresentativo non può evitare divisioni di schieramento ideale o ideologico: la divisione tra progressisti e conservatori (alla quale egli pensava), ovvero tra sinistra e destra, corrisponde a due modi di giudicare, relativi a due criteri o principi generali non identici e nemmeno interscambiabili”. Come dire che è anomala una confluenza come quella avviata con il Nazareno e proseguita ad oltranza.

Ai vertici di Azione Nazionale troviamo Mario Ciampi (segretario generale dell’associazione finiana Liberadestra), Marco Cerreto (portavoce di Prima l’Italia), Andrea Santoro (consigliere comunale a Napoli per Ncd), Gianluca Vignale (consigliere regionale di Forza Italia in Piemonte) e Alessandro Urzì (candidato a sindaco di Bolzano per il centrodestra e consigliere regionale di una lista civica). Il portavoce è Fausto Orsomarso, consigliere regionale in Calabria.

twitter@FDepalo



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