Si fa incandescente il clima intorno all’assemblea degli azionisti di Telecom Italia che martedì 15 dicembre deciderà sulla proposta di conversione dei titoli risparmio in ordinari e sull’ingresso dei quattro rappresentanti di Vivendi in consiglio di amministrazione, con annesso allargamento dell’organo da 13 a 17 componenti.
LA RICHIESTA DI VIVENDI
La battaglia che si sta combattendo intorno alla società ex monopolista telefonica è partita dalla mossa di Vivendi, gruppo francese con poco più del 20% di Telecom (dunque primo socio singolo) che ha chiesto di nominare nel cda quattro propri rappresentanti, uno dei quali indipendente: Arnaud Roy de Puyfontaine, Stephane Roussel, Hervé Philippe e Felicité Herzog. La richiesta ha innescato le reazioni dei fondi azionisti di Telecom, che hanno lamentato il fatto che, in caso di ingresso dei rappresentanti francesi in cda, gli investitori istituzionali, che pure sono i veri grandi azionisti di Telecom, si sarebbero ritrovati con tre soli esponenti in consiglio contro i quattro di Vivendi. Allineati ai fondi anche le società di proxy advisor, cioè di consulenza per gli investitori istituzionali, come Frontis Governance, Iss e Glass Lewis, che hanno consigliato di bocciare in assemblea l’ingresso dei rappresentanti del gruppo dei media francese che fa capo a Vincent Bolloré (nella foto).
LA REAZIONE DEI FRANCESI
Da qui la reazione di Vivendi, che, una volta capito che con l’assemblea di martedì difficilmente sarebbe riuscita a piazzare quattro consiglieri in Telecom, ha deciso di boicottare la proposta di conversione delle azioni risparmio in ordinarie. Come si legge su Repubblica del 12 dicembre, “il gruppo guidato da Vincent Bolloré ha spiegato in un comunicato di avere dubbi riguardo la correttezza del rapporto di conversione proposto, non essendo convinto che la soglia di 9,5 centesimi necessari a convertire un’azione di risparmio in un’azione ordinaria sia del tutto giustificata. Inoltre, Vivendi rileva la mancanza di un parere di congruità dell’operazione rispetto ai possessori di azioni ordinarie che potrebbero essere altamente diluiti. Infine Vivendi ritiene che la decisione di proporre la conversione delle azioni di risparmio dovrebbe spettare a un cda che meglio rappresenti gli attuali azionisti di Telecom Italia, e che l’operazione non ha carattere di urgenza. Nei fatti – ragiona Repubblica – questa decisione pregiudica seriamente l’approvazione dell’operazione di conversione che richiede i due terzi dei voti del capitale presente. Poiché Vivendi ha a tutt’oggi il 20,1% e il capitale registrato venerdì sera era pari al 55,6%, l’astensione dei francesi sarebbe in grado di bocciare la conversione”.
LA REPLICA DI TELECOM
Non si è fatta attendere la replica di Telecom Italia, che, in un comunicato pubblicato sabato, ha difeso le ragioni della proposta di conversione dei titoli. Come si legge sul Corriere della Sera di domenica 13 dicembre, un giorno dopo l’affondo di Vivendi, Telecom Italia ha replicato al gruppo francese. E ha difeso le sue scelte andando dritta al tema sollevato dai francesi: “Le condizioni della conversione, note dal 5 novembre, sono state determinate con il supporto di due advisor di indiscusso standing, Citi ed Equita”.
E ORA CHE SUCCEDE?
Dato il doppio vivace confronto in corso tra i fondi azionisti e Vivendi, da una parte, e tra Vivendi e la stessa Telecom, dall’altra, che succederà in assemblea martedì? Chi avrà la meglio? Sul Corriere della Sera, si legge: “In assemblea è attesa battaglia tra i francesi e il fronte di pension fund e asset manager. Se guerra sarà si consumerà però sul mercato cui spetta di valutare la linea di Vivendi che in Telecom ha investito 3 miliardi e vuole essere rappresentata in consiglio. Vivendi è il primo socio Telecom ma non è ancora quello di riferimento, come vorrebbe il presidente Bolloré, perché è fuori dalla cabina di regia. La parola passerà all’assise, e prima ancora al giudizio di Piazza Affari, atteso domani”. Mentre su Repubblica di domenica 13 dicembre si legge: “Pari e patta e tutti arrabbiati. Questo potrebbe essere l’esito finale dell’assemblea Telecom di martedì prossimo. No alla conversione delle azioni di risparmio in ordinarie, no all’allargamento del cda da 13 a 17 con l’ingresso di quattro uomini di Vivendi”. Secondo Giovanni Pons, “il rinvio della conversione rappresenta il minore dei mali e assume un significato ben preciso: Vincent Bolloré e il suo management hanno come priorità l’ingresso in forze nel cda di Telecom per determinarne la strategia e la gestione. Con il 20,1% è più facile farlo che con il 13,9% post diluizione”, cioè post conversione dei titoli. Secondo Repubblica, “Bolloré ha quindi abbandonato la strategia buonista di entrare in punta di piedi e dare fiducia a questo management fino ad aprile 2017. Ora entrerà a piedi uniti nell’aprile 2016 ma sulla sua strada potrebbero spuntare diverse ostacoli. In primis gli altri gruppi francesi che hanno mostrato interesse per Telecom. E’ infatti molto probabile che Xavier Niel, con il 15% potenziale della società italiana, possa presentare all’assemblea di aprile un piano industriale e di sviluppo alternativo a quello attuale e a quello di Vivendi. Come anche Orange potrebbe rompere gli indugi e avanzare un’offerta di scambio per Telecom con un piano di sinergie tra i due gruppi ben definito”.
L’AZIONISTA NIEL
A rendere il quadro ancora più complesso è proprio la presenza del potenziale azionista Niel. Che, secondo quanto riportato nei giorni scorsi dal Fatto Quotidiano, potrebbe in qualche modo essere legato al premier italiano Matteo Renzi. Ribadisce il concetto Stefano Feltri sul Fatto Quotidiano del 13 dicembre: “C’è una sintonia di vedute, tra Palazzo Chigi e Niel: l’imprenditore vicino al presidente francese François Hollande potrebbe essere l’uomo giusto per realizzare il piano del governo su Telecom, osteggiato in questa e nella precedente gestione. Cioè scorporare la rete, rendere Telecom una società solo di servizi ed esercitare un controllo governativo diretto sulla costruzione della banda larga, con tutti gli appalti a livello locale che ne derivano (lo strumento sarebbe la fusione con Metroweb, società che fa capo alla Cassa depositi e prestiti, pubblica)”. Ma c’è anche un’altra teoria che circola negli ambienti politici e finanziari. Quella secondo cui obiettivo di Niel, con il sostegno di Renzi e il possibile coinvolgimento della Cdp, sarebbe quello di far convolare a nozze Telecom con Iliad, operatore mobile di proprietà dell’imprenditore francese che opera con il marchio Free Mobile.