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Finmeccanica, Eni, Saipem. Cosa cambia con la legge sulle partecipate?

È in dirittura d’arrivo la legge quadro proposta dal Ministro Madia che dovrà regolare l’attività delle aziende partecipate dal pubblico: forse dal 23 dicembre sapremo qualcosa di più su quale sarà il ruolo di queste imprese che, vale la pena ricordarlo, sono strategiche per l’economia del Paese. La speranza è che il focus del Governo sia diretto non tanto a decidere gli assetti dei consigli di amministrazione – importanti, per carità, ma non prioritari a mio parere – ma a definire quale sarà il ruolo che queste aziende dovranno interpretare per fare ripartire il Paese.

È tempo che decidiamo cosa vogliamo fare di società di valore internazionale quali, giusto per fare alcuni nomi, Eni, Saipem, Versalis, Enel, Finmeccanica, ma anche le grandi aziende multiutility e le Fiere. La mia opinione è che debbano adeguarsi ai cambiamenti dei mercati, ma continuando a essere – visto che sono di proprietà di tutti i cittadini – ciò che sono sempre state, per cui sono state fondate: creatori di ricchezza, di welfare di qualità per i territori.

Il Governo Renzi deve compiere una scelta coraggiosa, che rischia di essere impopolare fra quanti sostengono la strada della dismissione e dell’adeguamento ai canoni delle multinazionali private: scegliere di mettere a punto una cabina di regia che operi al di sopra dei Cda delle partecipate – per esempio una ‘holding’ – nella quale assegnare un ruolo predominante alla Cassa depositi e prestiti, che già il Governo ha identificato come lo strumento in grado di fornire le risorse economiche per sostenere le strategie di sviluppo.

Sgombriamo il campo dai gli equivoci: non esiste il rischio di tornare alle vecchie e giustamente archiviate partecipazioni statali, o che la CDP diventi una novella IRI: la competizione moderna non lo permetterebbe e farebbe fallire immediatamente l’operazione. Invece va costruita una politica di lungo respiro, che utilizzi il capitale rappresentato da queste imprese – che è tecnologico ma anche ‘umano’ – per ricostruire il prestigio industriale e la ricchezza del nostro Paese.

Una mission lungimirante, quindi, per le partecipate statali, e anche per le controllate dagli enti locali, che secondo il censimento Istat sono oltre 11mila. Gli strumenti attuativi di questa idea dovrebbero attingere all’esperienza di chi ha percorso questa strada con successo, come la Corea del sud, che ha organizzato le società a controllo pubblico in filiere lunghe e, grazie a questo, le ha trasformate in uno dei capisaldi del sistema economico. Ma penso che funzionerebbe anche una ‘via italiana’: sono diverse le modalità efficaci per creare un network di aziende a partecipazione pubblica competitivo. Una per tutte, mettere a punto un ‘Progetto Italia’, di respiro nazionale che sappia valorizzare il capitale rappresentato dalle imprese partecipate dal pubblico, a partire dai ‘campioni nazionali’ ma coinvolgendo direttamente la rete dell’indotto italiano, e non continuare a gestire le strategie che le riguardano solo rispondendo all’esigenza di realizzare performance finanziarie positive. L’attenzione dev’esser diretta a creare le condizioni perché possano essere elementi determinanti nella difesa del welfare, inteso nella sua accezione più larga, cioè come strumento di creazione di ricchezza diffusa.

Penso a un Piano che sappia cavalcare il momento economico favorevole, grazie al Quantitative easing della Banca centrale europea e al basso prezzo del petrolio, per progettare una strategia che agganci la ripresa. Un rilancio degli investimenti, considerata la dimensione delle aziende di cui stiamo parlando, e ancora di più del sistema industriale che costituiscono, sarebbe la migliore opportunità per il nostro Paese di concretizzare quel rilancio economico che finora è restato sulla carta o si sta manifestando in modo troppo timido. In un contesto dove lo Stato mostra di sapere come utilizzare il proprio patrimonio di imprese anche le banche saprebbero finalmente dove destinare l’enorme liquidità accumulata grazie al “bazooka” della BCE, mentre il sistema manifatturiero italiano potrebbe trovare in questi investimenti il volano tanto atteso della ripresa economica. Ma per fare funzionare un Piano di questo tipo serve una regia pubblica che sappia valorizzare le eccellenze e garantisca, nell’ambito di una visione di lungo periodo, gli interessi degli azionisti, pubblici e privati, così come del sistema produttivo del Paese, dove le commesse dovrebbero essere destinate. Rafforzando, come accennavo prima, il ruolo sociale delle imprese.


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