Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’analisi di Gianfranco Morra apparsa su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi
La legge prevalente della politica era quella del due: «patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, borghesi e proletari» (come pretendeva Marx nel Manifesto). Con molte varianti, eccezioni, mescolanze, il due finiva per imporsi, perché la politica è «lotta tra amico e nemico» (Schmitt). Già Machiavelli aveva ammesso solo due possibilità: «tutti gli stati sono o repubbliche o principati» (prime parole del Principe). Anche i partiti sono nati dentro questa dualità: quelli di notabili, come Wigh e Tory, e quelli di massa, come repubblicani e democratici, conservatori e laburisti, liberali o popolari e socialisti. Spesso i partiti erano più di due, ma, alla fine, la dialettica era tra i due principali, cui si aggregavano gli altri. La rivoluzione francese sacralizzò questo dualismo con la contrapposizione tra una destra conservatrice e una sinistra rivoluzionaria. Anche nell’Italia unificata lo schema era a due: liberali-socialisti prima e democristiani-comunisti poi.
Per molte ragioni questo dualismo è entrato in crisi. Divenuti di massa e pigliatutto i partiti si sono avvicinati nei programmi e le loro ideologie si sono affievolite e spente. Nel 1989 la caduta del comunismo fece saltare anche il bipartitismo imperfetto: la Dc scomparve e il Pci dovette trasformarsi. Paradossalmente, il bipolarismo rimase nel conflitto tra Berlusconi e gli altri, proprio mentre il Cavaliere aveva creato una Company che era tutto meno che un partito. I molti competitori, privi di ideologie e dello stesso nome «partito», ormai navigavano a vista e vivevano alla giornata.
Non solo in Italia. Tutta l’Europa assiste oggi alla crisi dei vecchi bipolarismi: i vecchi partiti spariscono o si riducono all’insignificanza, come Forza Italia, mentre ne nascono nuovi e imprevedibili (si pensi al M5S). Il due è in fase terminale e prevale almeno il tre. Nascono formazioni spontanee e leaderistiche, quella costellazione che viene demonizzata con la parola “populismo”, animata da una volontà aggressiva e violenta di opposizione a tutto più che dalla proposta di idee e programmi definiti. Con un diverso modo di fare politica, che si serve soprattutto delle nuove tecnologie della comunicazione.
L’anno che sta per finire ci ha dato prove sicure di questa tendenza. La Germania da tempo aveva risolto la crisi del due con una grande coalizione. Le elezioni regionali in Francia hanno visto un terzo partito, oltre la gauche e la droite, insieme vincitore e sconfitto, ma sempre primo. In quasi tutte le nazioni i partiti terzi, per lo più nazionalisti e antieuropei, stanno crescendo: non c’è stato europeo che non li abbia e in alcuni (come Olanda e Austria) si avvicinano al 30% dei voti. Per non dire della Grecia, dove Syriza, in opposizione tanto ai conservatori che ai socialisti, a distanza di mesi ha vinto le elezioni due volte, sfiorando la maggioranza assoluta. E si è alleato con l’estrema destra.
La prova del nove di questo tramonto del bipolarismo ci viene oggi dall’esito delle elezioni in Spagna. Che quarant’anni or sono avevano introdotto la democrazia insieme col bipolarismo: popolari (Suárez, Aznar e Rajoy) e socialisti (González e Zapatero) si sono alternati al potere, sempre da soli. Ora si sono aggiunti a destra i Ciudadanos e a sinistra i Podemos. Il popolo ha ratificato la fine del due e sono presenti quattro formazioni con suffragi non troppo lontani l’una dall’altra, di modo che la governabilità si è fatta difficile. Dovunque, in Europa, il due è caduto. Anche da noi. E sarebbe bene che i politici lo capissero. Smettendo, in primo luogo, di insistere sul dualismo di destra e sinistra. Due categorie ancora valide, possiamo dire con Kant, per il loro «uso regolativo», ma non per quello «costitutivo». Mentre invece ancora continua, in aree veteropolitiche di scarso comprendonio, il suk resistenziale della sinistra buona e della destra cattiva. Oggi non sono più possibili né una ideologia politica forte, né un programma rigido, né un partito come “Nuovo Principe”. Ma solo una politica concreta e realistica, portata avanti da un partito leggero, che potrà ancora riferirsi alla vecchia tradizione della destra e della sinistra, ma non come a icone da venerare, bensì a esperienze storiche da ripensare e aggiornare.
In una società fluida e liquida, dove prevalgono, soprattutto nelle nuove generazioni, narcisismo e incertezza, anche le scelte politiche sono provvisorie e labili. I valori assoluti ci sono ancora, nei grandi messaggi delle religioni e nella morale. Anche la politica deve tenerne conto, ma con la consapevolezza che non esiste un regime perfetto e perenne. Anche la democrazia deve continuamente riformarsi nelle sue strutture e istituzioni.
La crisi del bipolarismo europeo richiede sistemi elettorali diversi dal proporzionale. Quello spagnolo, proporzionale con piccoli collegi, sinora ha funzionato dentro il bipartitismo, ma oggi ha prodotto ingovernabilità. La Francia lo capì nel 1958 quando introdusse semipresidenzialismo e doppio turno. L’altra strada è quella del premio di maggioranza, come da noi è stato proposto con l’Italicum, una riforma elettorale non priva di ombre, ma indirizzata nel senso giusto.