Il Council on Foreign Relations (Cfr), think tank newyorkese di affari internazionali fondato nel 1921, ha raccolto in una pubblicazione i sette vertici mondiali più importanti del 2016. Summit che sono forse destinati a cambiare la rotta del mondo, riscrivere interessi geopolitici, delineare nuove alleanze ed inimicizie: soprattutto negli incontri a latere di questi appuntamenti ufficiali. Si parlerà di ambiente, droga, nucleare e altro.
1. Il Vertice sulla Sicurezza Nucleare (Washington, Usa, 31 marzo – 1 aprile)
A primavera prossima il presidente americano Barack Obama accoglierà capi di Stato e di governo dei Paesi nuclearizzati. Il vertice sulla sicurezza nucleare (Nuclear Security Summit, NSS) è stato fortemente voluto dalla Casa Bianca, spiega il Council per «per colmare una lacuna evidente nel regime di non proliferazione nucleare: la presenza di armi nucleari e materiale fissile non controllato, che potrebbe cadere nelle mani di gruppi terroristici o Stati canaglia». I Paesi che parteciperanno al vertice dovranno annunciare misure per diminuire la vulnerabilità dei propri impianti e arsenali. Il NSS si concluderà con la fine del mandato di Obama, ma il presidente vorrebbe renderlo permanente attraverso l’Agenzia internazionale per l’energia atomica.
2. Assemblea generale delle Nazioni Unite, Sessione speciale sulla droga come problema mondiale (New York, Usa, 19-21 aprile)
La sessione speciale sul problema globale della droga che si terrà, sarà la prima dal 1998. Scrive il Cfr: «Frustrati dall’inutile “guerra alla droga” e dalla sua violenza criminale connessa, un certo numero di governi nazionali (in particolare in America Latina e in Europa) mettono in sperimentazione strategie di depenalizzazione e di riduzione del danno». Un senso diverso dal vertice del 1998, quando l’obiettivo era distruggere il traffico. Al vertice si valuteranno gli effetti e le possibilità di diffusione di queste visioni “riformiste”.
3. World Humanitarian Summit (Istanbul, Turchia, 23-24 maggio)
L’Onu ha definito la situazione attuale «la più grande crisi umanitaria dalla Seconda guerra mondiale», dovuta a quello che Papa Francesco ha definito il terzo conflitto globale «che si combatte a pezzetti, a grappoli». Più di sessanta milioni di persone non vivono più nelle loro case a causa di guerre come quella in Siria (o in Iraq, Sud Sudan, Yemen, Nigeria, Mali), o di calamità naturali. «Le capacità delle agenzie delle Nazioni Unite e delle associazioni di beneficenza sono spinte oltre i loro punti di rottura» scrive il think tank americano, e il pensiero va a Paesi come il Libano, la Giordania, la Turchia, epicentro della grande emergenza umanitaria della crisi siriana; ma dal flusso di profughi è messa in ginocchio anche l’Europa, in una situazione che abbina la solidarietà con le esigenze di sicurezza. Le Nazioni Unite hanno richiesto un fondo per aiuti umanitari di 20 miliardi di dollari, cinque volte quello chiesto una decina di anni fa: un programma ambizioso che interesserà le regole per i rifugiati, cercherà di mobilitare Paesi del Golfo e Cina e di creare i presupposti perché gli aiuti si trasformino in spinta per lo sviluppo.
4. Summit del G7 (Shima, Giappone, 26-27 maggio)
I temi ufficiali del vertice saranno indicati a gennaio, ma il Council on Foreign Relations sostiene che niente sarà più importante delle discussioni dei membri del gruppo dei sette Paesi più sviluppati (più l’Ue) su «come la pensano nel preservare l’ordine internazionale» adesso che «l’ordine stesso deve affrontare la sua più grande prova dalle principali potenze autoritarie, la Russia e la Cina». Sarà il terzo incontro del genere senza la Russia, sanzionata dal G8 per il suo coinvolgimento nella crisi ucraina, con la violazione dell’integrità territoriale di uno Stato membro delle Nazioni Unite, avvenuta con l’annessione della Crimea. Questo è uno degli esempi di come le regole fondamentali dell’ordine mondiale possano essere violate.
5. Summit del G20 (Hangzhou, Cina, 3-4 settembre)
Tre mesi dopo il G7, gli stessi partecipanti si troveranno ospitati per la prima volta dalla Cina, che ha scelto la città portuale di Hangzhou per il vertice del G20: Hangzhou è edificata poco prima che le acque del fiume Fuchun sfocino nel Mar Cinese Orientale, uno dei luoghi di contesa regionale. Pechino avrà un ruolo centrale nell’incontro, e il presidente Xi Jinping cercherà di dipingere il suo Paese come il ponte di collegamento tra le nazioni sviluppate e quelle in via di sviluppo: cercando un rilancio dell’economia che ultimamente è rallentata.
6. Habitat III (Quito, Ecuador, ottobre 17-20)
La Conferenza delle Nazioni Unite per l’abitazione e lo sviluppo urbano sostenibile (Habitat) si è riunita soltanto tre volte in quarant’anni di esistenza. L’urbanizzazione a cui si è assistito negli ultimi anni ha portato la concentrazione di abitanti in città dal 37,9 per cento del 1976 (prima riunione di Habitat) all’attuale 54,5 per cento: “Planet of slums” è il titolo di un libro di Mike Davis storico, geografo, teorico urbanista, della UCLA. «Le città di oggi coprono soltanto il 2 per cento della superficie terrestre – spiega il Cfr – ma producono il 70 per cento del Pil mondiale» tra contraddizioni socio-culturali e ambientali, essendo responsabili anche del 70 per cento dei gas serra e dei rifiuti prodotti, secondo gli esperti. L’obiettivo del vertice è promuovere sostenibilità nell’urbanizzazione attraverso un network che metta in relazione le più importanti città del mondo, permettendo lo scambio di best practice.
7. Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Marrakech, Marocco, 7-18 Novembre)
Il vertice marocchino si chiamerà Cop-22 e avrà come obiettivo di rivedere gli impegni presi al summit che si è chiuso poche settimane fa a Parigi (il Cop-21). Sarà di primo piano il consolidarsi dell’intesa promossa in Francia tra Paesi sviluppati, che vogliono limitare le produzioni di CO2, e quelli in via di sviluppo, che chiedono deroghe sulle emissioni per offrire la spinta giusta alla produzione economica (durante le riunioni di Parigi, alcuni esponenti dei Paesi più piccoli e in via di sviluppo, si legge, hanno criticato l’imposizione di limiti sulle emissioni definendola come una nuova forma di colonialismo). In questi processi la Cina, avrà un ruolo chiave se manterrà le promesse virtuose, ma sottolinea il Council on Foreign Relations che «l’esito del voto negli Stati Uniti potrebbe anche determinare il destino degli sforzi globali per combattere il cambiamento climatico».