Siamo stati zitti e buoni per un po’ di giorni. Ma Natale è passato, il Capodanno è volato, siamo nel 2016. Non è che tutto sia filato liscio, anzi. Per questo dobbiamo ora fare un po’ di ordine, nei fatti e nelle idee.
2015-2016: FATTI SANITARI VENETI
La riforma della sanità veneta (progetto di legge 23/2015), presentata circa 4 mesi fa, era rimasta “incartata”. Lo avevamo detto in V Commissione Consiliare regionale. Era il 20 ottobre scorso: “Questo progetto di riforma è stato presentato in ritardo e non vedrà la luce prima del 31 dicembre 15, quando il presidente della Regione Veneto Luca Zaia dovrà nominare i nuovi direttori generali”. Previsione facile, troppo facile, ma inascoltata. E, così, Zaia è stato costretto ad agire. Non ha voluto nominare 21 nuovi direttori generali. Ha scelto, invece, di forzare la mano, dividendo il Veneto sanitario in 9 ULSS residue e nominando, il 30 dicembre, 11 direttori generali, che si aggiungono a Cobello, fresco dg della AOUI di Verona.
Sono tutte riconferme (ma 9 dg su 11 cambieranno sede) che resteranno in carica per 3 anni, al ministro della Sanità Beatrice Lorenzin piacendo.
In definitiva, 1 dg per provincia (con funzioni di commissario per le ex ULSS della stessa) ma 2 dg nelle province di Vicenza e Venezia. Tutto chiaro, tutto tranquillo? Per nulla. Infatti, pur essendo giusta e doverosa la riduzione del numero delle AULSS-ASL (anche ai fini del contenimento dei costi), parecchie domande restano senza risposta. Le elenchiamo.
Perché, una volta per tutte, non si fa chiarezza sulla sigla da attribuire alle aziende socio-sanitarie locali della Regione Veneto? ASL? AULSS? ULSS? USL? Al proposito, si vedano le molteplici abbreviazioni usate dai giornali veneti, nei giorni scorsi. Non è una questione di lana caprina, ma di sostanza. Vuole o no, il Veneto di Zaia, ribadire – nell’acronimo – la peculiare funzione socio-sanitaria della sanità veneta? Lo si dica chiaramente, una volta per tutte.
Per l’ennesima volta è mancata la trasparenza nei giudizi finali su tutti i direttori generali del triennio 2013-2015 e nei criteri utilizzati per la scelta dei “nuovi”.
Perché sono stati cacciati alcuni e tenuti altri? Ad esempio, per gli ex dg delle AULSS 20-21-22 si sono utilizzati parametri economici (bilanci) o valutazioni di altro tipo (liste di attesa, indagini in corso…), inclusa la “vicinanza” degli stessi a Flavio Tosi o Giancarlo Galan?
In fin dei conti, nel lontano dicembre 2012, la scelta di costoro era stata fatta dal solito Zaia, con il concorso di Coletto e Mantoan. Con le regole attuali, la scelta dei dg tocca infatti al presidente della Regione. Ma un minimo di spiegazioni dovrebbe essere fornito al popolo “bue” che paga e vota. O no?
Tra i dg precedenti, c’era un astro nascente. A costui era stata affidata la progettazione – sofferta – del nuovo ospedale di Padova. Adesso, tutto cambia. Si narra di contrasti con il potente segretario regionale alla Sanità, cui ora è seguito il declassamento: passaggio dalla AOUI di Padova al territorio patavino (USL 15,16,17). Altre vocine sussurrano che, il Nostro, volesse aver carta bianca sul nuovo ospedale, cosa non gradita dalle parti del Bo’.
Perché si è andati fino a Trento per recuperare un “Commissario” che aveva appena sottoscritto un secondo contratto a direttore generale nel capoluogo trentino? Non c’era – nel lungo elenco esistente in Regione – un altro soggetto in grado di svolgere l’incarico patavino?
Sembra evidente che il nominativo fosse stato suggerito (imposto) dalla “universa universis patavina libertas”. Comunque sia, pur di tornare a Padova, l’illustre collega ha dovuto accettare due condizioni: un minor compenso (123mila euro lordi all’anno, cioè almeno 60mila euro in meno rispetto al contratto trentino); la nomina a Commissario per due anni, con il rischio di perdere il posto, se dovesse ricadere nelle nuove regole della Lorenzin sulla nomina dei dg delle ASL (elenco nazionale, terne, eccetera). Siamo curiosi. Chi glielo ha fatto fare? Vocine parlano di contrasti con l’assessore Rossi.
Perché commissariare AULSS con i conti in ordine e non pensare a una fase transitoria con due AULSS provinciali per 1 anno, in attesa del varo (quando avverrà?) del ddl 23, ossia della riforma sanitaria definitiva? Quella che potrebbe essere una brutta copia della sanità toscana. Poche AULSS (3) con un pesante centralismo veneziano.
L’appartenenza politica pesa, come sempre. Dei prescelti, 6-8 sono uomini della Lega o vicini alla Lega; 2 sono di Forza Italia.
Che ne sarà dell’azienda zero, ossia del “motore economico-gestionale” della sanità veneta?
Sulle nomine l’opposizione storce il naso e varie Conferenze dei Sindaci annunciano ricorso al Tar. Dal canto suo, per ora la Lorenzin tace. Ma scommettiamo che si farà sentire, prima o poi.
ITALIA 2016: MATTARELLA e RENZI
La peculiarità del nostro Paese è facilmente identificabile analizzando le tipologie dei massimi rappresentanti politici.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è un democristiano “tipo”, incolore e piatto sia nelle esternazioni (poche e brevi) sia nell’agire e nel vestire. Conferme? Il messaggio di fine anno, un breviario di affermazioni scontate e buoniste, rivolte ad un’Italia e a degli italiani “che non ci sono”. Tanto fumo e poco arrosto. Con una dimenticanza clamorosa: i due poveri marò.
Il capo del Governo, Matteo Renzi, che pensa che i “sudditi trinariciuti” siano incapaci di vedere e di pensare. Di vedere che l’Italia rappresenta l’ultimo vagone della Ue, con un Pil ben al di sotto della media. Di capire che c’è una differenza tra i numeri reali e quelli snocciolati dal premier. Di capire che Renzi fantastica su un’Italia che non c’è, che sposta continuamente in avanti (anno dopo anno) gli obiettivi, che spaccia per “fatte” decine di riforme o riformette, che sono invece ancora in mezzo allo stagno melmoso. Un Renzi che è stato ripetutamente sbugiardato, sui numeri e non solo, in questi ultimi giorni. Sulla revisione della spesa, sull’occupazione, sulla produzione industriale. Finora, i tagli ai ministeri sono stati non di 12,3 miliardi di euro (come dice Renzi) ma di soli 3 miliardi (altri 3,5 arriveranno, forse, nel biennio 2017-2018). La disoccupazione, pur ridotta per motivi esterni al Paese, resta elevata: 11,5% contro il 9,3% della Ue (ventitreesima posizione su 28, come un anno fa). Non solo, ma sono aumentati gli inattivi. Ancora: “Il quadro di presenza degli immigrati è il più basso degli ultimi 10 anni” (dice Renzi). No. Il dato del 2015 si piazza al secondo posto, dopo il record del 2014.
Quando il boy scout, democristiano di sinistra, già concorrente televisivo, già dirigente (per pochi giorni, nell’azienda paterna), ora in aspettativa politica, già rottamatore eccetera… quando costui sciorina slide (diapositive) e cifre e dati, non bisogna fidarsi, perché ormai lo conosciamo bene. Non solo non si prepara (e non impara a memoria quel che deve dire, come invece fa la ministra bionda), ma “si loda e si imbroda”, sparacchiando numeri, sbrodolando “italo-inglish” (inglesorum, per Diego Gabutti), sputacchiando concetti astrusi. Uno su tutti: “nel 2015 abbiamo ridotto le tasse; nel 2016 le ridurremo ancora”. Verifica. Sì, è stata tolta la Tasi, ma sono aumentate le bollette per il 75% delle famiglie (Codacons); le tariffe autostradali (Libero, 2 gennaio 2016); il Telepass (+92%); i biglietti aerei (per l’aumento dell’addizionale comunale sui voli); la tassa sui licenziamenti (da 490 a 1.470 euro per addetto licenziato); la pressione fiscale sulle banche (31,9% contro il 26,4% nella Ue); eccetera.
ITALIA 2016: CONTRATTI PUBBLICI, PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, SANITÀ
Anche nel 2016 avremo a che fare con un Premier ,“ex rottamatore e parolaio incallito”, che pensa di gestire il consenso pubblico con mance e mancette (80 euro di qua e 500 euro di là), invece di finanziare il rinnovo dei contratti pubblici, bloccati da fine 2009. Il 2016 sarà l’anno in cui dovranno essere varati i decreti delegati affidati al ministro Marianna Madia. Quelli che porteranno ad una ulteriore interferenza della politica nella scelta dei dirigenti della Pubblica Amministrazione (che diventerà discrezionale fino al 30% dei posti, se passeranno le “voci di corridoio”). Quelli che continueranno a proporre una pseudo revisione della spesa basata solo sulla mancata sostituzione dei pensionati (1 su 5 o 1 su 10); sul taglio orizzontale dei dirigenti pubblici; sul taglio/soppressione delle norme contrattuali sul lavoro pubblico; sulla drastica riduzione dei comparti e delle aree del lavoro pubblico; sulla compressione dei diritti sindacali.
No, non sarà un buon anno, il 2016, per chi lavora nella Pubblica Amministrazione. Non sarà un buon anno perché l’aver rinunciato ad una seria revisione della spesa di tipo qualitativo e quantitativo, a favore dei soliti tagli orizzontali, provocherà una ulteriore asfissia di attività pubbliche indispensabili.
Con arretramento del welfare pubblico, a partire dalle prestazioni sanitarie. Le liste di attesa si allungheranno e la spesa sanitaria privata crescerà. Non siamo profeti di sventura, ma siamo troppo “scafati” per non sapere che, nel 2016, continuerà il trend del 2015: un aumento dei morti (+140mila rispetto al 2014) in assenza di nuove/strane epidemie. Frutto, evidente, di un fenomeno clamoroso: meno gente può permettersi – adesso – le “cure ordinarie”, meno gente è in grado di pagare i ticket, peraltro difformi da Regione a Regione. Il Servizio sanitario nazionale dovrebbe essere “unico” ossia universale per tutti i cittadini italiani.
Così non è. Ma, su questo, Renzi e Lorenzin tacciono. Così come tacciono sulla scomparsa del benchmarking sanitario, della polizza sanitaria universale e delle linee guida “universali e salvatrici”.
ITALIA 2016: PENSIONI
Lo sappiamo. Nel 2016 Matteo Renzi, Giuliano Poletti e Tito Boeri attaccheranno di nuovo le pensioni “medio alte”. Il premier l’ha fatto capire (comparsata televisiva di fine anno) in risposta alla domanda di un giornalista. In sintesi: “non toccheremo le pensioni fino a 2mila euro, ma stiamo valutando con calma cosa fare con le altre…”. Come se, per tutte le altre, non valesse la “sua” legge 109/2015, che non rispetta la sentenza 70/2015 della Consulta, continuando a tagliuzzare fior fiore di pensioni.
Silvio Berlusconi, Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi: quattro presidenti del Consiglio, quattro governi, pochi fatti in comune. Sulle pensioni, identità di scelte.
Tito Boeri ha le sue idee, esplicitate in un ddl. Renzi non le ha mai contrastate. Renzi non ha mai diffidato Boeri dall’uscire dal suo ruolo istituzionale. Perché? C’è chi dice che non possa farlo, perché in debito con Boeri, cui avrebbe promesso il ministero poi assegnato a Poletti. Insomma, le cooperative sono state preferite alla milanesità del bocconiano e della sua famiglia. Ora Renzi dovrebbe pagare pegno.
Pensioni ancora in pericolo, quindi. In attesa dell’esito delle azioni legali avviate (da circa 2 anni) da CIDA-CONFEDIR-FEDERSPEV e da “I 300 di Leonida”.
Nel primo semestre 2016 la Consulta dovrà esaminare le loro istanze. La Consulta, la cui composizione è stata modificata di recente, ma le cui ultradecennali decisioni non potranno essere facilmente stravolte. Comunque sia, in attesa delle prossime sentenze, i “300 di Leonida” continuano ad agire. Le Procure delle Corti dei Conti di Venezia, Trieste, Trento, Milano e Roma sono state invase da centinaia di firme di pensionati che chiedono notizie sulla correttezza amministrativa dell’Inps, ossia sulla liceità della mancata netta separazione, nei bilanci Inps, delle spese previdenziali pure da quelle assistenziali (in toto od in parte), come invece prescriverebbero sia la legge che il buonsenso.
Legge e buonsenso che chiarirebbero in modo inconfutabile che, in Italia, la previdenza pubblica ha un bilancio in pareggio, se non in attivo (se si considerano anche le “cospicue” tasse pagate dai pensionati italiani). Si aspetta la Consulta.
Nel frattempo, i “300 di Leonida”, dopo la Befana, butteranno altro carbone a chi gestisce l’Inps. Chi vivrà, vedrà.
Stefano Biasioli – Lenin
Segretario Generale CONFEDIR