E se stessimo sbagliando tutto? Certo, ha un senso dividerci fra chi privilegia la solidarietà umana e chi la sicurezza, chi vuole una emigrazione controllata e chi no, chi vuole distinguere fra gli emigranti economici e i rifugiati politici e chi ritiene invece trattarsi di una distinzione arbitraria. Eppure, tutto ciò è molto importante ma è anche forse tutto derivato o secondario rispetto a quello che dovrebbe essere il centro di ogni discorso in merito al nostro rapporto nostro, di noi europei o occidentali voglio dire, nei confronti delle migrazioni di massa.
Per cogliere questo centro, dovremmo forse partire dal centro di noi stessi, cioè dalla nostra identità, da quel che siamo e che sperabilmente vogliamo continuare ad essere. Averne maggiore consapevolezza. In una parola: dal nostro essere sociale come individui di un mondo libero, democratico, pluralistico, ove ognuno può seguire i suoi gusti e i suoi ideali senza doverne rendere conto ad altri. Almeno finché agli altri non rechino danno e non tolgano loro la possibilità di esprimersi in modo egualmente libero.
Se vogliamo continuare a vivere in un mondo siffatto, se solo ora cominciamo ad apprezzarne fino in fondo i valori, è giunta forse l’ora di cambiare radicalmente i nostri comportamenti verso gli altri, verso chi non ci crede ma vuole casomai servirsi della nostra tolleranza per imporci la sua intolleranza. Si tratta di capire, in altre parole, che certi valori, certe consuetudini, certi ordinamenti, quelli che sono alla base del nostro modo di vivere in modo spesso irriflesso, non sono affatto “naturali” e non si affermano per virtù propria: sono il frutto di una lunga storia di lotte e cadute e non ci sono stati affatto assicurati una volta per tutte. Essi,mal contrario, vanno continuamente difesi, preservati, tutelati, promossi, rinsaldati. Lo stesso spettro della xenofobia, evocato anche dove francamente poco centra, non dovrebbe più di tanto tarpare, per un insano sentimento di colpa, la nostra azione, non dovrebbe renderci indecisi nel momento in cui occorre invece tanta decisione e fermezza.
Prendiamo, ad esempio, l’ultimo episodio, grave, dell’aggressione sistematica e organizzata compiuta a Colonia nella notte di capodanno da squadre organizzate di immigrati. Se la versione degli eventi che circola venisse confermata (difficile capire perché in questo caso le notizie stiano filtrando con tanta lentezza e in modo così approssimativo), se risultasse confermato soprattutto che alla base di certe azioni diciamo pure “sessiste” c’è stata una forte componente “culturale”, la nostra reazione non potrebbe non essere che la più dura possibile. Senza infingimenti o ipocrisie. Se non fossimo capaci di ciò, se ci limitassimo anche questa volta alle solite parole a caldo di circostanza, daremmo infatti l’immagine di chi è disposto a capitolare sui propri principi di fondo: sui valori che reggono una società libera e democratica.
Il fatto è che in tutti questi anni ci siamo come addormentati, abbiamo dato l’idea a chi veniva presso di noi che l’inclusione nelle nostre società era un pasto gratis. Non abbiamo chiesto le contropartite a cui avevamo diritto. il nostro masochismo non ha avuto limiti. Non abbiamo la giusta consapevolezza di noi stessi. Si può e si deve essere inclusivi ma non con chi vuole distruggerci: si può e si deve ospitare chiunque ma non coloro che hanno intenzione di bruciarci la casa in ciò li ospitiamo o semplicemente di far retrocedere le nostre conquiste e di minare la nostra cultura. Abbiamo incluso tanto nelle nostre società liberali ma non l’abbiamo fatto con il criterio più giusto, che non è né quello economico né quello umanitario.
Il discrimine avrebbe dovuto essere prima di tutto culturale. Non possiamo più accettare che viva fra noi chi non crede nei nostri valori di fondo, democratici e liberali. Il liberalismo non è un perimetro aperto e senza confini, ma un campo ove tutti possono giocare ma solo seguendo regole ben precise. Non so sinceramente come si possa praticamente gestire il flusso delle emigrazioni a partire dal criterio culturale qui enunciato, ma so che se non si fa questo, se si continua a non considerare centrale questo aspetta, la libertà in cui abbiamo vissuto in questi anni non avrà presso di noi un domani.