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La bomba H nordcoreana e la nuova frontiera del nucleare

Ha fatto il giro del mondo in poche ora la notizia che la scossa di magnitudo 5.1, rilevata ai confini con la Cina, sia stata rivendicata come effetto di un test nucleare coreano.

Com’è noto, il governo di Pyongyang ha affermato pubblicamente che si tratta della minacciosissima Bomba H, altrimenti definita Superbomba all’idrogeno. È un ordigno provvisto di un detonatore che avvia una fissione che si trasforma poi in fusione deflagrante dirompente. Rispetto alle analoghe bombe nucleari classiche utilizzate a Hiroshima e Nagasaki nel 1945, che hanno distrutto due intere città, la caratteristica di questa è che può sterminare e cancellare dal pianeta un’intera nazione.

Non vi è stato mai un utilizzo, ovviamente, bellico effettivo della H, anche se Russia e America ne fecero sfoggio durante la corsa agli armamenti, rallentandone e poi interrompendone la produzione via via con gli accordi Salt, e poi con la distensione degli anni ’80.

Questo parallelo storico può aiutarci a capire quale significato politico assume adesso l’esperimento voluto da Kim Jong-un. La comunità internazionale ha condannato senza appello questa soggettiva forma di riavvio della corsa agli armamenti, in totale violazione degli accordi di non proliferazione nucleare, pattuiti dopo la fine della Guerra Fredda, sebbene dubbi consistenti siano emersi sulla concreta effettività che realmente si sia trattato di una detonazione sotterranea della Bomba H. Probabilmente, la Corea non ha i mezzi tecnologici e quasi sicuramente vi è stata solo la volontà politica di far vedere i muscoli agli Stati Uniti.

In ogni caso, dato e concesso che sia vero quanto il governo coreano ha garantito, vale a dire la non volontà di un uso dell’ordigno, se non per un’altrettanta distruttiva minaccia contraria, molti interrogativi e tante preoccupazioni si presentano all’orizzonte.

In primo luogo occorre considerare che, rispetto al novecentesco confronto Est-Ovest, vi sono alcuni pericoli in più e alcuni rischi in meno in questo caso. I pericoli in più sono dati dal fatto che l’intenzione di avere l’atomica è ormai ritenuta una prerogativa di difesa indispensabile e una condizione necessaria per contare e sedersi concretamente al tavolo delle trattative internazionali da parte di ogni singolo popolo. L’enfasi con cui l’opinione pubblica coreana ha accolto la notizia fa specie, in questo senso. Per tutti gli altri, invece, sapere che un regime comunista non democratico ha o lavora per avere un arsenale militare di tale entità accresce automaticamente l’escalation alla militarizzazione legittima. Perciò la Cina si è dichiarata da sempre contraria all’esperimento, al pari della quasi totalità dei Paesi del mondo. Il ritorno alla dimensione nazionale degli Stati, autentica tendenza di questo secondo decennio del secolo, affida ormai al solo controllo interno dei rispettivi governi, non sempre sensibili alla dimensione universale dei diritti collettivi, le condizioni di sopravvivenza del genere umano. Nel caso della Bomba H, infatti, di questo si tratta, vale a dire del possesso di un mezzo di estinzione della specie rapido ed efficace.

Se un giorno qualche Paese dovesse fornire armi nucleari all’Isis, o anche semplicemente ad altri regimi con la vocazione al martirio violento, che succederebbe?

Di qui si capisce perché il tasso di rischio internazionale è seriamente cresciuto, tanto se l’esperimento coreano sia stato reale o virtuale. E si comprende inoltre come la situazione durante la Guerra Fredda fosse più rischiosa, perché realmente affidata a Superpotenze in grado di distruggere unilateralmente e senza limitazione l’umanità, ma al tempo stesso più stabile e controllata dall’equilibrio dei due blocchi contrapposti, al cui controllo era impossibile sfuggire e oggi siamo tutti sottratti.

La sensazione, in fin dei conti, è che con l’autolegittimazione nucleare della Corea siamo entrati in una nuova fase di questa guerra mondiale a pezzi, che è anche la prima a essere ‘tiepida’, vale a dire né calda né fredda. Da domani ogni Paese potrà lavorare per munirsi di strumenti convenzionali e non convenzionali di difesa senza che vi sia più alcuna potenza politica e militare superiore a decidere il contrario. Le Nazioni Unite, di fatto, sono in grado al massimo di notificare sanzioni, perfettamente ignorate nei fatti, la Russia persegue i propri interessi soggettivi e gli Stati Uniti paiono, almeno per ora, ritirati dalla governance globale.

Affidarsi unicamente alle rassicurazioni di Kim Jong-un per un uso etico di uno strumento di morte di massa è come affidare l’incolumità di una famiglia alle buone intenzioni di un marito potenzialmente brutale e armato fino al collo.
Vivere la nostra normalità euro atlantica, senza particolari rischi immediati tranne quelli terroristici, guardando al quanto avviene in Oriente, in Asia, in Africa, eccetera rivela quanto la nostra pace e opulenza sia accerchiata ed erosa ai fianchi dalla guerra, dalla povertà e dal potere, trasformando inevitabilmente la nostra forza politica, economica, giuridica e tecnologica in fragilissima debolezza.

Il timore vero è che le redini del mondo passino dall’economia alla violenza, dal diritto internazionale all’uso della forza e così via, scivolando dalla modernità di oggi a un medioevo imminente. In tal caso non vi sarebbe, difatti, qualcuno che vince una guerra, ma la morte che vince sulla vita, e anche noi dovremmo affidarci, più che alla nostra Costituzione illuminata da Beccaria, a Von Clausewitz e agli armamenti nucleari atlantici materialmente presenti sul nostro territorio.


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