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Vi racconto chi sta uccidendo l’editoria

importanza

C’è stato un tempo in cui, nei giornali, i direttori erano tra i primi ad arrivare e tra gli ultimi ad andarsene via. Spesso facevano quel “vai-e-vieni” in compagnia dei loro migliori e più fidati editorialisti. In quello stesso tempo i capiredattori e i capiservizio li trovavi già al lavoro prima ancora dei direttori; e correva voce, nei corridoi, che chiudessero la porta addirittura dopo di loro. Era del resto inevitabile che corressero le voci quando il discorso cadeva su certi personaggi mitologici. Lo erano anche i cosiddetti “grandi inviati”, quelli che invece poi scoprivi avere spesso un ego bambino, tanto da fermarsi spesso a parlare proprio con te – ultimo dei pivelli – regalandoti consigli e suggerimenti preziosi.

Direttori e commentatori, senza mai abbandonare le scrivanie e i loro uffici odorosi di fumo e di caffè, sempre aperti anche alla truppa, perfino ai più imberbi fantaccini di redazione, battevano sui tasti i “graffi” giornalistici che potevi leggere il giorno dopo, stampati in corpo 8 e indirizzati ai loro corrispettivi delle testate di opposto colore politico: eppure erano graffi mai volgari, nemmeno gridati, sempre scritti in ottimo Italiano nel doveroso rispetto che si doveva allora – pena il taglio della mano destra (la sinistra ai mancini) – al Signor Congiuntivo, alla Signora Punteggiatura e perfino a quelle zitelle acide delle Signorine Subordinate, oggi irreparabilmente defunte. A volte erano però anche carezze affettuose, come per esempio quelle che si scambiavano un giorno sì e uno no Indro Montanelli e Mario Melloni, alias Fortebraccio, leggendario corsivista dell’Unità. Perché la comune e condivisa umanità era sempre più forte della diversità di schieramento. Perché appunto erano grandi Uomini, prima che grandi giornalisti.

Se poi qualcosa, nella fretta, sfuggiva anche ai più bravi – succedeva, poteva succedere – vi provvedevano squadre di occhiuti correttori di bozze, più rapaci di un’aquila nell’avvistare al volo peccati veniali come il refuso o la ripetizione, ma ancor prima quelli mortali come un eventuale anacoluto. E quando tutto finiva all’ultimo grado di appello, ovvero in bozza, c’era immancabilmente qualcuno della squadra dei tipografi, anonimi e preziosissimi mediani della squadra coordinata dall’Allenatore Proto, a sbatterti con modi spicci sotto il naso quello che ti era eventualmente sfuggito: come l’orrore del righino corto a fine colonna, per non dire di quello lasciato a galleggiare nel bianco in cima a quella successiva. E allora tu, al volo, aggiungevi qualche parola per allungarlo; o toglievi qualcosa per farlo rientrare. Poi scendeva la notte, avvolgendo le rotative che giravano e poco dopo le auto e i furgoni della distribuzione si avviavano veloci nel buio italiano; e che fosse un buio bagnato, innevato o nebbioso, poco contava. Bisognava correre perché non c’era la teletrasmissione delle pagine.

Andava però a finire, a quel tempo, che la mattina successiva le edicole fossero luoghi affollati di gente che acquistava, iniziava a sfogliare già lì, in piedi, per poi cominciare a leggere e a commentare. L’editoria, per naturale conseguenza, volava alto e i giornali decollavano per rotte lontane grazie ai serbatoi pieni di carburante: i lettori. Chi più, chi meno, vendevano tutti, a prescindere dall’essere testate di destra o di sinistra. Succedeva perché quelle pagine erano state impastate con materie prime preziose e rare: Dedizione, Passione e Qualità, figlie naturali di quel corale gioco di squadra descritto sopra, fatto di concatenati controlli.

Poi tutto cambiò: “Piangendo il morto” con la mano destra protesa e intascando al tempo stesso con la sinistra gli aiuti e le sovvenzioni di Stato, gli editori decisero che la Qualità fosse una materia prima della quale si poteva fare a meno. Cominciarono così, via via, a decimare i tipografi: via dal campo i preziosi mediani, allontanato dalla panchina l’insostituibile allenatore, il Proto. Li sostituirono con macchine computerizzate forse efficientissime, probabilmente meno costose degli umani, ma che senza alcun dubbio non avrebbero mai imparato a riconoscere un righino corto in cima a una colonna di testo. E infatti non lo riconoscono. Oggi lo lasciano lì, orrore che galleggia oscenamente nel bianco tipografico. Inutili, perché antieconomici, furono poi considerati anche i correttori di bozze, eliminati o ridotti all’osso, con le conseguenze che vediamo in pagina: festival degli anacoluti, strage di congiuntivi, refusi non più soltanto nel testo, ma addirittura nei titoli. E cosi le edicole hanno iniziato a diventare luoghi sempre meno affollati, con i serbatoi degli aerei-giornali sempre più a corto di carburante: i lettori.

Quanto ai personaggi mitologici, i capiredattori infallibili e i grandi inviati, quelli che trovavano sempre il tempo per insegnare ai più giovani… Inevitabile: scomparsi anche loro, prepensionati a ondate grazie all’ennesimo aiuto giunto con un decreto ad hoc ricevuto in dono dalla classe politica di ogni colore in modo bi, tri e forse anche penta partisan. Perché i giornali servono a qualsiasi partito e gli editori è sempre meglio tenerseli buoni. Tutti.

E i direttori, quelli di cui si parlava all’inizio, quelli che una volta arrivavano in redazione prima degli altri e che dopo gli altri se ne andavano, insomma gli stessi che tenevano la porta aperta anche per i pivelli? Non pervenuti. Perché al povero redattore che oggi vuole vedere il proprio Direttore, magari per chiedergli un consiglio o per proporgli un’inchiesta, ormai non resta altro che accendere la televisione; lo troverà senz’altro lì. Anzi, sono tutti lì, nella scatola nera, saltabeccanti da una trasmissione all’altra, da un approfondimento a un talk show, ma senza più la buona abitudine dei “graffi” garbati e ben scritti. Sono invece tutti là dentro, impegnati a urlarsi addosso, a trasformarsi da servitori dei lettori in grotteschi e bercianti servitori dell’una o dell’altra parte, di questa o di quella bandiera partitica. “È inevitabile per promuovere le nostre testate e per mantenerle visibili”, vi diranno per giustificarsi. Ma non è vero, perché senza i controlli la qualità scende e i serbatoi rimangono di conseguenza sempre più a corto di lettori. Il giorno in cui l’aereo dell’editoria, rimasto a secco, si schianterà al suolo, la causa del disastro la si potrà trovare facilmente: sarà lì, registrata nella scatola nera. Lì dove stanno i direttori.


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