Sembra un paradosso ma non lo è. A questo punto è più facile una composizione del durissimo scontro ancora in corso fra Jean Claude Juncker e Matteo Renzi che il ritorno ai buoni rapporti fra lo stesso Renzi e Federica Mogherini. Che pure deve al presidente del Consiglio la nomina a ministra degli Esteri, quasi due anni fa, e poi la promozione a quasi ministra degli Esteri dell’Unione Europea. Quasi, perché una carica del genere nell’Unione non c’è, tenendosi ogni Paese ben stretta la competenza, o sovranità, in questa materia.
La Mogherini è soltanto, sia pure con la maiuscola, Alta Rappresentante per la politica estera e per la sicurezza europea. Rappresentante nel senso dell’immagine di “lady Pesc”. Rappresenta cioè fisicamente l’Unione negli incontri, riunioni e iniziative in cui i veri ministri degli Esteri dei Paesi, europei e non europei, che trattano fra di loro le vertenze sul tappeto, vecchie e nuove, accettano di invitarla e di associarla alle cerimonie degli annunci, delle firme e delle riprese fotografiche e televisive. Sarà sgradevole sentirselo dire così – lo capisco – ma la realtà è questa.
Non ha aiutato la Mogherini a cambiare le cose, a dare cioè più consistenza al suo ruolo comunitario, l’esperienza di ministra degli Esteri italiana: troppo breve per diventare materialmente corposa. Per cui il suo curriculum a Bruxelles, negli uffici e nei corridoi della Commissione dell’Unione, a dispetto anche della carica aggiuntiva di vice presidente, è rimasto un po’ quello di una pur diligente funzionaria di partito – il Pd e sigle precedenti – selezionata dai leader di turno per avanzare in carriera.
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Tanta diligenza e fortuna in carriera non è potuta bastare alla Mogherini per scansare la durezza degli inconvenienti, visto che i problemi europei nei settori di sua competenza, o rappresentanza, sono andati diabolicamente aumentando d’intensità e di numero da quando il presidente del Consiglio italiano la volle generosamente trasferire a Bruxelles.
Già dura di suo la politica estera, oltre che indecifrabile, la politica continentale della sicurezza è diventata durissima con il combinato disposto dell’immigrazione e del terrorismo. Che hanno fatto ancor più apparire un pesce fuor d’acqua la pur Alta Rappresentante italiana. Alla quale è anche capitato l’azzardo di dire di recente, mentre si moltiplicano i casi di terroristi islamici esplosi con le loro vittime, che “il Califfo è più debole di prima se manda in giro per il mondo i suoi kamikaze”.
Parole, quest’ultime della Mogherini, che sembrano avere deluso e insieme impensierito anche Renzi, che pure è ottimista di suo e suole vedere il bicchiere mezzo pieno piuttosto che mezzo vuoto, o scambiare addirittura per pieno d’acqua, rigorosamente trasparente, il bicchiere vuoto.
Ma a far traboccare il vaso, o il bicchiere, nei rapporti fra Renzi e la Mogherini è stata la reazione di lady Pesc allo scontro appena esploso fra lo stesso Renzi e Juncker.
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Secondo una cronaca non smentita del Corriere della Sera, il presidente del Consiglio sarebbe saltato sulla sedia a Palazzo Chigi leggendo le agenzie che attribuivano alla Mogherini la liquidazione dello scontro fra lui e Juncker come una cosa da “stupidi”.
Deve avere assistito a quel salto di Renzi il sottosegretario agli Affari europei Sandro Gozi, che proprio al Corriere della Sera ha detto che pur di chiarire le cose nella gestione dell’Unione Europea, e di imboccare la strada di una revisione dei trattati a quasi sessant’anni da quello originario firmato in Campidoglio, si possono accettare, cioè condividere, i “toni ruvidi” ai quali si sono abbandonati Juncker e Renzi. Il primo accusando l’altro di “vilipendio” della Commissione e l’altro rispondendo che non si sarebbe lasciato né “intimidire” da Bruxelles né “telecomandare” da Berlino.
Viste anche altre frizioni registratesi nei loro rapporti, in particolare per il mancato invito di Renzi ad alcuni vertici europei cui l’Italia era particolarmente interessata, deve essere diventato evidente al presidente del Consiglio l’errore commesso con la scommessa sulla Mogherini. Che costò la Farnesina il 22 febbraio del 2014 alla radicale Emma Bonino, la politica italiana “sicuramente più nota nel mondo”, come la definì a ragione su Italia Oggi il direttore Pier Luigi Magnaschi lamentandone la sostituzione al Ministero degli Esteri.
Sarà difficile per lady Pesc recuperare la fiducia del presidente del Consiglio solo per avere reagito nelle ultime ore all’accusa all’Italia dall’entourage di Juncker di non avere un interlocutore stabile e certo con Bruxelles. Una provocazione che, essa sì, avrebbe forse meritato di essere definita stupida dalla vice presidente della Commissione. Che nella reazione polemica non ha invece voluto spingersi a tanto, procurandosi forse anche per questo le critiche dell’eurodeputata renzissima del Pd Simona Bonafè.