A pochi sarà sfuggita la frase pronunciata ieri dal Presidente della Commissione Europea Jean- Claude Junker, con la quale ha voluto precisare che “Ci manca un interlocutore per l’Italia”. Tradotta può significare solo due cose: 1) Serve un nuovo interlocutore perché Renzi non va più bene, 2) C’è un vuoto istituzionale che bisogna colmare.
La seconda ipotesi è certamente la più concreta (e anche la meno biasimabile), perché sebbene l’Italia sia apparentemente ben rappresentata in Europa (dal ministro degli Esteri Gentiloni, dal sottosegretario Gozi e dallo stesso Renzi), è anche verosimile che il Governo manchi di rappresentanti che “day by day” -per usare le stesse parole di Junker- seguano le discussioni e i confronti all’interno della Commissione Europea.
Ma se questo è un fatto e andrebbe corretto (come pare si stia cercando di fare con la sostituzione dell’ambasciatore Stefano Sannino con Carlo Calenda), bisogna riconoscere che per l’Europa Renzi non è esattamente l’uomo ideale con cui confrontarsi. E non lo è per varie ragioni.
La prima si ritrova nel fatto che il Premier è un politico poco istituzionale e -per certi versi- simile a Berlusconi. Vuole imporre la propria politica e prova a farlo su vari fronti: sui migranti, sul Fiscal compact e l’austerità, sulle banche e le aziende, sulle politiche energetiche, e sugli aiuti in Turchia.
Proprio oggi, su quest’ultimo punto Manfred Weber (PPE) in Aula ha detto: “Quando vediamo che l’Italia non è disposta ad aiutare la Turchia se non in cambio di una contropartita, tutto ciò va a svantaggio dell’Europa, della sua forza e della sua credibilità. Renzi sta mettendo a repentaglio la credibilità europea a vantaggio del populismo”.
Populismo o meno, la condotta politica di Renzi, negli ultimi mesi si è fatta più aggressiva. Come se il Premier avesse capito che spesso per essere protagonisti bisogna dimostrare di saperlo essere. Nel bene e nel male.
Ma tra il bene e il male c’è una differenza sostanziale. Tra la ciccia e la fuffa ce n’è altrettanta.
L’Italia nonostante una crescita dello zerovirgolanonsoquanto, rimane il fanalino di coda tra i Paesi membri. É quella che è cresciuta meno. Eppure Renzi prova ad imporsi.
Fare i pugni duri può servire, certo. Dal momento che le rivoluzioni si cominciano pronunciando dei ‘no’, non allinearsi alle scelte europee dimostra la capacità dell’Italia di avere carattere. Ma la questione tra Renzi e il Presidente Junker sembra essere più una diatriba personale, che poco ha a che fare con le questioni aperte sul tavolo della Commissione. Si pensi al contenzioso sulla paternità dell’introduzione della flessibilità: “Sono molto sorpreso che alla fine del semestre di presidenza italiana -ha dichiarato Junker- Renzi abbia detto davanti al Parlamento che è stato lui ad aver introdotto la flessibilità, perché sono stato io. Io, sono stato” .
Il dubbio che viene è che le mosse del Premier italiano siano finalizzate non tanto agli interessi dell’Italia in Europa, quanto ai suoi interessi politici in Italia. Dando vita ad uno scontro dal quale sa che non può uscirne vittorioso, Renzi da un lato fa passare l’immagine di uno che non si arrende a Bruxelles e dall’altro crea l’alibi europea per gli eventuali intoppi dell’agenda di Governo.
Se Renzi vuole ottenere qualcosa deve stringere alleanze e smorzare i toni. Il rischio, nel caso contrario, è di ottenere invece un pugno di mosche ed un peggior trattamento di quello finora ricevuto. E la dimostrazionie si è avuta soltanto ieri, quando gli operatori finanziari -consapevoli dell’isolamento italiano- hanno attaccato Piazza Affari, malgrado la Consob parli soltanto di “retropensieri”.