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Perché lo scontro fra Clinton e Sanders mette alla prova i Democratici

La lotta per le primarie negli Stati Uniti procede a passo svelto, sebbene le notizie giungano dalle nostre parti in sordina a causa soprattutto degli importanti avvenimenti sul fronte internazionale.
Se fino a qualche mese fa la corsa di Hillary Clinton sembrava ormai andare avanti senza ostacoli, ultimamente il destino di successo della ex first Lady non è più così scontato. Nel dibattito che si è tenuto a Charleston nella Carolina del Sud il competitor di partito più forte, Bernie Sanders, si è mostrato tutt’altro che irrilevante. Le percentuali continuano a vedere uno scarto tra i due, a vantaggio della Clinton, in Iowa attestato al 46 % rispetto al 42 % dello sfidante; tuttavia se si sposta l’attenzione sul New Hampshire, Sanders batte la Clinton nei sondaggi di ben 6 punti percentuali.
Ciò significa che il vero nemico per la moglie di Bill, in questo momento, non sta dalla parte repubblicana ma in casa propria.

D’altronde, quanto sta avvenendo nel partito dei conservatori è quanto mai esemplificativo, spiegando bene alcuni punti di vantaggio che Sanders potrebbe giocare a suo favore in futuro. Donald Trump ha ricevuto il sostegno ufficiale della leader dei Tea Party Sarah Palin, la quale ha scongiurato almeno una parte del pericolo che il senatore texano Ted Cruz realmente costituisce per lui. Se la forza di quest’ultimo è costituita dalla capacità di rappresentare l’ala più tradizionale e conservatrice dei Repubblicani, l’arrivo del sostegno della Palin a Trump sicuramente crea una spaccatura interna, in grado di influire positivamente sul magnate, a svantaggio, almeno così potrebbe essere, di Cruz direttamente, ma anche della Clinton.

Come si sa, il partito dell’Elefante non ha visto ancora emergere una figura autenticamente affidabile in senso pieno. E questa è una delle ragioni principali che continuano da mesi ad avvantaggiare l’impresa audace e dirompente di Trump.
Lo scontro tra la Clinton e Sanders è, da par suo, tanto classico quanto poco convenzionale nel quadro del progressismo statunitense. Più che confrontarsi sulla politica estera, i due candidati continuano a discutere sull’attuazione della riforma sanitaria: Clinton accusa Sanders di voler estendere a tutti, in modo universale, un’assistenza sanitaria che brucerebbe definitivamente la ripresa massacrando fiscalmente i ceti medi. Sanders, invece, critica continuamente e duramente le forti dipendenze della Clinton dai grossi poteri economici e finanziari che hanno determinato la crisi bancaria e finanziaria del 2008.

La strategia è molto chiara. Davanti al massimalismo della destra, rappresentato ormai da un orientamento che di moderato non ha più nulla, riuscire a dimostrare che anche Hillary Clinton è parte del medesimo articolato di potere, vuol dire aprire un varco a sinistra molto rilevante, il quale, sebbene non in condizioni forse di vincere, può perlomeno indebolire la discussa popolarità dell’ex segretario di Stato.
Sanders ha dalla sua la presa che alcune idee molto di sinistra sembrano avere nella gestione del dopo Obama, un doppio mandato che in parte ha tradito le attese pauperiste della prima ora e che ha mostrato via via tante falle, generando non poche insoddisfazioni. La Clinton, invece, può vantare per sé di essere un politico collaudato, estremamente esperto di politica estera, con un grande presidente a fianco. Sicuramente la sua eventuale elezione alla Casa Bianca costituirebbe un cambio di rotta nei rapporti degli Stati Uniti con il resto del mondo, promettendo un ruolo di maggiore incisività e presenza del Paese in Medioriente.

Il rischio più plausibile è che un’eventuale tirata finale di Trump, la quale incarnerebbe una linea populista e oltranzista, crei una situazione di polarizzazione dell’elettorato democratico, il quale potrebbe finire per arroccarsi su Sanders. Paradossalmente la Clinton è forte quando Trump risulta debole. Ma se questi si attesta come istrionica bandiera di una battaglia iper conservatrice, la reazione dei grandi elettori potrebbe essere quella di spostarsi su Sanders, abbandonando la strada centrista coagulata attorno a lei.

Sanders, perciò, si gode beato la favorevole situazione, mostrando, ancora una volta, la stranezza di questa corsa presidenziale, paradossalmente la più ideologica degli ultimi decenni. Non solo, infatti, è competitiva una figura non convenzionale come Trump, ma tra i democratici sta emergendo una sinistra dura che rompe con la tradizione liberal radicale dell’estremismo democratico, non a caso rappresentato storicamente dalla famiglia Clinton.

Pensare uno scenario, alla fine improbabile ma non impossibile, in cui si dovessero combattere in un corpo a corpo la presidenza un socialista e un nazionalista mostrerebbe una stranissima europeizzazione degli States, veramente inedita oltreoceano. D’altronde, le parole di Sanders, con tanto di critica ai poteri forti, supportate da una netta volontà statalista quasi socialista, costituiscono una tentazione in questo momento per il popolo americano, almeno per quello di alcuni Stati, una opzione che potrebbe non dispiacere del tutto neanche al mondo cattolico, in questa fase dominato dal magistero della misericordia e della povertà di Papa Francesco.

È certo, in definitiva, che la sfida a sinistra dei democratici pungola tutto il sistema economico e politico americano, rivelando un certo consociativismo di lungo corso nel potere di establishment tra democratici e repubblicani, il quale, in ultima istanza, è la vera forza debole della provocante e massiccia presenza mediatica di Donald Trump.


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