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Addio al capo Dino Marianetti, leader della “buona battaglia”

Agostino (Dino) Marianetti ci ha lasciato. La implacabile malattia di cui soffriva da tempo ha consentito che ieri (mercoledì  20) venisse presentato, alla Camera dei Deputati, il libro autobiografico che aveva scritto, per lasciare qualche cosa dietro di sé. Poi la morte ha presentato il conto durante la notte.

Ai suoi familiari ed amici vanno le mie sofferte condoglianze, perché Dino non era solo il mio leader, ma un amico a cui ero affezionato. Purtroppo, le vicende della vita (e della politica) ci avevano separato (non allontanati) da decenni, ma insieme a lui e al suo fianco ho vissuto alcuni tra gli anni migliori della mia esistenza.

Agostino Marianetti è stato, a cavallo tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 del secolo scorso, segretario generale aggiunto della Cgil, il vice di Luciano Lama. Guida della componente socialista di quella grande organizzazione Dino combatté in prima linea la “buona battaglia’’ per l’autonomia e l’unità sindacale lungo il percorso di un riformismo (difficile ma possibile) di cui oggi sembra essersi persa ogni traccia.

Erano anni duri, per il Paese, prima di tutto. I rapporti tra i due principali partiti della sinistra (il Pci e il Psi) – a cui i militanti e i dirigenti della Cgil facevano riferimento – erano pessimi, ma la Confederazione di Corso d’Italia si ostinava (anche grazie a Lama e a Marianetti) a rimanere la “casa comune’’ del popolo di  sinistra.

Agostino era una forza della natura. E godeva di una grande prestigio nella Cgil di Lama. Era un leader coraggioso, con tanta voglia di fare, di portare avanti battaglie rinnovatrici, razionali, coerenti: una persona capace di acquisire una cultura tanto vivace e complessa, pur disponendo di un livello di scolarizzazione più che modesto.

Quando Agostino scelse, nel 1983, di candidarsi alle elezioni politiche lo sostituì Ottaviano Del Turco che era il numero due della Fiom (vice di un altro sindacalista indimenticabile come Pio Galli). Marianetti, Del Turco ed io (credo doveroso aggiungere anche il compianto Cesare Romano Calvelli) eravamo un ‘’gruppo omogeneo’’.

La “diaspora’’ dei socialisti ha confuso i nostri destini: ma il ricordo di quei  giorni e di tante sfide comuni ha rappresentato per noi un legame indissolubile. Insieme ad Ottaviano oggi sono a compiangere il nostro “capo’’, in attesa che anche per me venga il momento di dire, come il vecchio Simeone, ‘’nunc dimittis servum tuum, domine’’.

Perché capisco che da oggi sarò ancora più solo. Intanto saluto Dino con le parole di Walt Whitman: “O capitano, mio capitano, alzati a sentire il suono delle campane’’.

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