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Autorità portuali, cosa cambia con la riforma del governo. Parla Monti (Assoporti)

“Il Paese riparte dai porti”. Lo slogan, che forse piacerebbe al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, lo ripete alla fine di questa conversazione con Formiche.net il presidente di Assoporti, Pasqualino Monti, un imprenditore quarantenne a capo dell’autorità portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta che dà un giudizio positivo sulla riforma sui porti “attesa da oltre vent’anni” che “finalmente consegna un quadro chiaro a chi opera nel settore”.

Il consiglio dei ministri ha approvato il decreto di “riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle autorità portuali”, presentato dal ministro Marianna Madia. Il provvedimento – si legge in una nota del governo – si inserisce nelle politiche e nelle azioni per il rilancio della portualità e della logistica intrapreso dal ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio.

“Passare da 24 a 15 autorità di sistema significa semplificare – ci spiega – e, quel che più conta, è che non si è agito sulla base di una simpatia o favorendo questo o quel campanile, ma si è finalmente ragionato in un’ottica di sistema. Significa che non verranno più finanziate infrastrutture fine a se stesse nei singoli porti ma si ragionerà in base a un piano industriale nazionale del sistema portuale e della logistica”.

Tutto bene, quindi?

Ci sono norme davvero significative che erano attese dal nostro comparto da molti anni come la nascita dello sportello unico doganale, amministrativo e di controllo. Si va verso una sburocratizzazione che non può che essere positiva.

Di negativo c’è forse che la riforma poteva essere più coraggiosa, 15 autorità non sono ancora tante?

Non mi preoccuperei dei numeri, l’importante è che vi è un disegno chiaro e preciso. Semmai adesso auspichiamo che siano definiti in tempi rapidi i provvedimenti attuativi. La riforma è un passo avanti, un buon inizio. Era attesa da vent’anni, l’ultimo legge di settore è del 1994, nel frattempo il mondo è cambiato ci sono tanti player nuovi ed agguerriti, basta pensare alla Cina che domina il mercato marittimo e non solo.

E nel frattempo i nostri porti hanno molto sofferto la crisi economica.

Governare un porto prima di questa riforma era diventato quasi impossibile. Pensi che per l’approvazione di un piano regolatore si è arrivato ad aspettare fino a 9 anni, non vi erano norme chiare sul dragaggio per andare incontro alla domanda di mercato. Adesso si è fatto un decisivo passo in avanti.

Ma si sono persi anche treni importanti. Napoli ad esempio ha visto sfumare 150 milioni di euro che l’Unione Europea aveva destinato al suo sviluppo…

E’ vero, quello che è accaduto in passato è figlio di troppa attesa nel cambiare norme che hanno ingessato il mercato. Così come è vero che bisogna al più presto anche risolvere il problema del cosiddetto “ultimo miglio”: il porto è dove la merce approda, ma poi serve un sistema di trasporto efficace, infrastrutture veloci, un vero piano di logistica.

Assoporti cosa chiede ora al governo?

Servono norme di fiscalità di vantaggio, abbiamo l’esigenza di verificare non come la nostra manifattura si sia spostata verso Est, semmai dobbiamo riportare qui le nostre principali aziende. Come farlo? Con norme fiscali per chi decide di ricollocare le proprie società all’interno dei nostri retro porti. Questo a maggior ragione adesso che dopo la crisi economica finalmente si vedono segnali di ripresa, adesso che anche i consumi interni sembrano ripartire. Nel 2014 abbiamo importato circa 500 milioni di tonnellate e l’anno che si è chiuso registrerà un ulteriore incremento, quindi siamo sulla strada giusta.

Non c’è rischio di una guerra tra porti per aggiudicarsi le norme fiscali più vantaggiose?

Serve una mappatura chiara e certa di quali devono essere in Italia le zone economiche speciali legate ai porti. Così da presentarsi in Europa con un piano organico. Ricordiamoci che il nostro settore vale il 3% del pil, parliamo di 44 miliardi di euro, con migliaia di lavoratori. Se si vuole il Paese può ripartire dai porti che rappresentano un investimento certo, il cui ritorno è certo. Sfruttare al meglio gli 8mila chilometri di costa, significa creare sviluppo, occupazione, far ripartire davvero la macchina del Paese.


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