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Mps, Unicredit, Intesa. Tutte le bufale sulle sofferenze

Sono le sofferenze in particolare a far soffrire in Borsa le banche italiane, Mps in primis. Ma davvero gli istituti di credito nostrani devono preoccuparsi? Davvero le banche italiane su questo aspetto sono le più malconce? Diversi osservatori e report dicono di no. Eppure la notizia diffusa negli scorsi giorni secondo cui la Bce aveva inviato un questionario ad alcuni istituti di credito italiani per avere ulteriori informazioni sui crediti in sofferenza, ha provocato tensioni nei mercati finanziari.

COSA SONO I CREDITI DETERIORATI

Alla base dei timori ci sono i crediti deteriorati, ovvero crediti per i quali la riscossione è incerta. A seconda del loro grado di deterioramento i crediti deteriorati si dividono in varie categorie: gli scaduti, i ristrutturati, gli incagli e le sofferenze. I più difficili da recuperare sono quelli in sofferenza. La loro problematicità è legata al fatto che le famiglie o le imprese a cui sono stati concessi tali finanziamenti non sono più in grado di pagare le rate. Per coprire questi eventuali mancati pagamenti da parte dei creditori le banche devono assicurarsi che esitano le coperture necessarie. Per risolvere questo problema l’Italia ha pensato ad un Bad Bank capace di smaltire le sofferenze del sistema bancario.

L’ANALISI DEL SOLE 24 ORE

Il livello di copertura dei crediti deteriorati delle banche italiane non sembrerebbe però tale da giustificare le suddette preoccupazioni. Oltretutto manca uniformità di regole a livello europeo a causa della quale ogni raffronto internazionale risulta impossibile. A sostenerlo è un’analisi del Sole 24 ore: “Persino la più massacrata, Mps, che è percepita dal mercato come l’anello più debole di tutto il sistema, a questo riguardo sembra essere sufficientemente tutelata”, ha scritto Antonella Olivieri riportando i seguenti dati: “Prendendo a riferimento i dati degli ultimi bilanci approvati – ancora quelli del 2014 – emerge che la banca senese ha una percentuale di copertura “integrale” dei crediti deteriorati (accantonamenti più l’intero valore delle garanzie collaterali) pari al 131%, in linea con la media delle maggiori quotate che è del 132%”, ha spiegato la giornalista del Sole.

IL REPORT MEDIOBANCA

I dati di bilancio raccolti da R&S-Mediobanca relativi alle relazioni dei primi nove mesi del 2015 e presentati ieri dal Sole-24Ore evidenziano, – secondo Olivieri – una situazione relativamente sotto controllo: “Gli accantonamenti a fronte dell’ammontare lordo complessivo dei crediti difficili (incagli, sofferenze, scaduti e ristrutturati) arrivano appunto al 51% per le banche quotate italiane. Lo stesso parametro di copertura nel caso dei 21 big europei del credito (incluse anche Intesa e UniCredit) si ferma – al primo semestre dell’anno scorso – al 44,8%. Se si aggiungono le garanzie (nel caso in cui il fair value del collaterale risulti superiore al valore del credito, ci si ferma a quest’ultimo), la copertura assicurata dalle banche quotate è dell’87,6%”.
Il fatto che le coperture complessive superino il valore del credito deteriorato ha due implicazioni, secondo Olivieri: “Da una parte significa che la banca non dovrà operare ulteriori svalutazioni a fronte di un deprezzamento delle garanzie finché non è eroso tutto il margine superiore al valore originario del prestito. Dall’altra significa che se ci sono garanzie sufficienti non verrà intaccato il patrimonio che è il “garante di ultima istanza” per la banca a fronte di perdite”.

LE RASSICURAZIONI DI MILANO FINANZA

Tutto sotto controllo, quindi: “Lo stock di crediti deteriorati è elevato, ma si sta stabilizzando dopo anni di aumento. L’economia italiana è tornata a crescere, seppure in modo debole”, ha scritto Francesco Ninfole su MF/Milano Finanza ricordando che “gli istituti sono già stati sottoposti a una vigilanza estremamente rigorosa, in particolare sui rischi di credito (mentre non c’è stata altrettanta severità finora su titoli tossici e derivati)” e che “i gruppi italiani hanno svolto un’asset quality review e uno stress test”. Per cui “dopo questi esami e dopo continue ispezioni, la Banca Centrale Europea conosce in modo approfondito i bilanci delle banche italiane” e “non saranno le informazioni contenute in un questionario a cambiare lo scenario di base, che è ben noto ai supervisori”. E invece cosa è successo? “La confusione ha scatenato, solo in Italia, una bufera sui mercati che ha avvantaggiato soltanto i professionisti del trading. Altri Paesi, i cui sistemi bancari hanno mostrato vulnerabilità ben più gravi, come dimostrano i salvataggi pubblici per decine di miliardi, hanno vissuto una giornata tranquilla”, ha commentato il giornalista di Milano Finanza.

IL REPORT PWC

Sulla situazione delle sofferenze delle banche italiane si è soffermato anche il report periodico sul mercato domestico degli Npl (prestiti non performanti) a cura degli analisti di PwC, Antonella Pagano, Fedele Pascuzzi e Laura Gasparini. “Guardando al futuro, in attesa che si concretizzi una potenziale bad bank, ci sono diverse operazioni in cantiere per un valore nominale complessivo superiore a 10 miliardi – hanno scritto gli analisti – in cui sono inclusi il portafoglio di sofferenze unsecured di Npl e il credito al consumo in sofferenza di Intesa Sanpaolo”. “Negli anni a venire – hanno spiegato gli analisti di PwC – la necessità di gestire attivamente la NPE prima che raggiunga lo stato di NPL è probabile diventi un obiettivo chiave per le principali banche italiane. Questo è certamente il caso di Intesa Sanpaolo, che ha istituito la Capital Light Bank nel quarto trimestre del 2014, con lo scopo di estrarre valore dal perimetro non-core”.

IL PESO DEL MATTONE

Una bella fetta delle sofferenze delle banche è riconducibile al settore immobiliare. A sostenerlo è un report dell’ufficio studi dell’associazione Unimpresa secondo il quale su “201,1 miliardi di euro di prestiti non rimborsati agli istituti di credito, più del 21% è legato al comparto costruzioni e il 10% circa è riferito ad altre attività immobiliari (come intermediazione, fondi e gestione)”. Secondo i dati principali dell’analisi del Centro studi di Unimpresa le sofferenze legate all’attività d’impresa ammontano complessivamente a quasi 129 miliardi.


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