Oggi si celebra il giorno della memoria. Non si tratta di una ricorrenza tra le altre, di uno dei tanti ricordi storici che dobbiamo fissare nel calendario.
La data stessa spiega già molto del significato unico che dobbiamo attribuirgli: il 27 gennaio del 1945 le truppe alleate aprirono i cancelli di Auschwitz in Polonia, scoprendo per la prima volta la tragica realtà dello sterminio nazista degli ebrei. Soltanto in quell’immenso campo di concentramento sono stati uccisi più di un milione e mezzo di esseri umani, colpevoli soltanto di essere ebrei. Quello che colpisce quando vi si fa visita è l’assoluta razionalità e il metodo sistematico con cui la Shoah è stata celebrata e messa in atto dal regime hitleriano.
Ecco perché il giorno della memoria rappresenta un invito alla riflessione, alla partecipazione con il dolore delle vittime e dei superstiti, ma anche un monito gigantesco per la nostra civiltà. Sì, è importante dire ‘nostra’ perché il ‘900 lascia in eredità tanti eccidi, tante violazioni bestiali della vita umana, di cui certamente l’olocausto è il più emblematico, crimini politici che sono emersi all’interno dell’Europa; in specie nel Paese, la Germania, che ha per secoli avuto un ruolo egemone ed è stato culla della filosofia e del diritto occidentale.
Ovviamente, e questo aggrava ancora di più la situazione, il massacro degli ebrei non si presenta allo sguardo retrospettivo come una circostanza casuale, il risultato della violenza sanguinaria di un pazzo che ha guidato il suo Paese alla follia di una disfatta umana, culturale e nazionale di proporzioni colossali. Purtroppo non è solo questo. L’eccidio degli ebrei è stato preparato lungamente da una mentalità, da una visione dei rapporti umani vincolati al mito della razza, ma anche da un più generale culto della violenza politica che esprime a pieno le tendenze massimaliste più estreme, di destra e di sinistra, di un secolo rivoluzionario e sanguinario.
Perciò il giorno della memoria ha una rilevanza sostanziale forte e costituisce al contempo un appello alla coscienza per una sensibilizzazione che sia valida specialmente per il futuro.
Se il progetto di associare la violenza fisica e l’eliminazione di un nemico, indicato con un intero popolo, è quanto emerge direttamente dall’estremismo fascista, è nondimeno altrettanto vero che una tentazione di questo tipo ha dominato, in modo diverso e con analoghi risultati, ogni mira espansionistica di tipo ideologico: non dimentichiamo il dramma delle fosse comuni nella ex Jugoslavia, e il criminale totalitarismo comunista, che ha utilizzato i gulag come strumento di morte per minoranze e dissidenti politici, colpevoli di essere soltanto appartenenti ad una classe nemica del proletariato rivoluzionario.
Ricordiamo dunque bene oggi tutte le vittime che hanno subito, tra le tante cose grandi della nostra civiltà, quel terribile prodotto culturale di violenza disumana e sistematica che abbiamo generato e covato al nostro interno.
Due rilievi sono degni di nota. Il primo, negativo, riguarda la profondità del razzismo come orientamento filosofico presente in Occidente. Recentemente sono stati pubblicati i Quaderni neri di Martin Heidegger, certamente la figura filosofica più imponente del XX secolo. Al loro interno emerge molto chiaramente l’adesione al nazismo dell’uomo, ma anche la profondità radicale del suo antisemitismo. Heidegger non è, purtroppo, un caso isolato. Nelle sue riflessioni si rivela quanto delirante possa diventare una concezione del potere che si esprime in modo incontrollato, con la leva del nazionalismo razziale, fino a trasformare l’omogeneità comunitaria in logica di sterminio del diverso, istituito ed elevato a simbolo del male.
Il secondo, positivo, è invece la repentina consapevolezza, che, negli anni ’30, ha spinto un pontefice di grandissima levatura come Pio XI a condannare in blocco tutti e tre i totalitarismi, quello italiano, quello sovietico e quello tedesco, nelle meravigliose encicliche Non abbiamo bisogno e Divini redemptoris. Papa Ratti anatemizzava senza appello ‘i nuovi idoli’, ossia le ideologie allora imperanti, con la stessa forza con cui Papa Francesco condanna ora il potere quale forma massima di idolatria contemporanea.
Heidegger, da un lato, con la sua geniale follia, Pio XI, dall’altro, con la sua spirituale lungimiranza, sono un affresco della grande contraddizione della nostra civiltà, essendo entrambi parte della nostra identità. Sono questi due volti opposti dell’Occidente che andrebbero rammentati insieme proprio nel Giorno della memoria. Un settantunesimo anniversario triste, dunque, ma al tempo stesso un richiamo che deve spingere a riaffermare adesso più che mai il valore assoluto, metafisico e supremo di ogni persona umana.
È fondamentale, infatti, non solo che certe nefandezze non si ripetano più, magari nascoste dall’omertà collettiva, ma che si sappia che quanto avvenuto allora è sia memoria della disfatta di una civiltà e sia occasione per comprendere la grandezza di quel DNA religioso e culturale dell’Occidente che si oppone ad ogni forma di violenza politica, di razzismo, di antisemitismo, di fondamentalismo, o anche solo di sopruso e indifferenza verso un altro essere umano.