Eccezione fatta per il quotidiano Keyhan, di fatto espressione dell’ala vicina alla Guida suprema Ali Khamanei, tutti gli organi di informazione iraniana hanno dato conto con enfasi dell’incontro del presidente Hassan Rohani con Papa Francesco, avvenuto martedì mattina in Vaticano. Un evento a suo modo storico, visto che l’ultima volta che un capo di Stato della Repubblica islamica d’Iran aveva messo piede oltretevere risaliva al 1999: Mohammed Khatami, riformista, fu ricevuto in udienza da Giovanni Paolo II. Come ha scritto AsiaNews, sito del Pontificio istituto missioni estere (PIME), i giornali locali hanno letto la visita come una sorta di prova dello sdoganamento internazionale del regime degli ayatollah, resa possibile dall’Accordo sul nucleare siglato nei mesi scorsi a Ginevra.
INTERLOCUTORE CREDIBILE?
Scorrendo titoli e analisi, prevale la linea che il ministro degli Esteri, Javad Zarif (presente anch’egli nella delegazione salutata da Francesco) ha consegnato ai centoquaranta caratteri di Twitter: “Reciproco impegno nell’unire gli sforzi per un mondo contro la violenza e contro l’estremismo”. Ed è questa la carta che Teheran vuole giocare: essere considerata una sorta di baluardo contro l’avanzare del fondamentalismo che ha nello Stato islamico il principale canale di sfogo, dimostrandosi pronta al dialogo e di conseguenza un partner affidabile.
LO STATO DELLE RELAZIONI DIPLOMATICHE
Il Vaticano ci crede, non solo perché le relazioni durano dagli anni Cinquanta e sono proseguite anche negli anni della Rivoluzione di Ruhollah Khomeini e durante il doppio mandato di Mahmoud Ahmadinejad (famoso per le sue uscite antisemite e le volontà di cancellare Israele dalle cartine geografiche), ma anche perché l’islam sciita è considerato più “vicino” quanto a valori spirituali (aspetto, questo, sottolineato nel comunicato della Sala stampa della Santa Sede diffuso dopo l’udienza). In questo senso vanno ricordate le parole pronunciate da Francesco in due circostanze specifiche. La prima, davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, lo scorso settembre: “Il recente accordo sulla questione nucleare in una regione sensibile dell’Asia e del Medio Oriente è una prova delle possibilità della buona volontà politica e del diritto, coltivati con sincerità, pazienza e costanza. Formulo i miei voti perché questo accordo sia duraturo ed efficace e dia i frutti sperati con la collaborazione di tutte le parti coinvolte”.
LE PAROLE DEL PAPA AL CORPO DIPLOMATICO
In secondo luogo, gli accenni chiari sottolineati nel discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, l’11 gennaio: “Il 2015 ha visto la conclusione di importanti intese internazionali, le quali fanno ben sperare per il futuro. Penso anzitutto al cosiddetto Accordo sul nucleare iraniano, che auspico contribuisca a favorire un clima di distensione nella regione”. Il Papa, in quest’ultima occasione, aveva fatto riferimento alle recenti tensioni tra l’Iran e l’Arabia Saudita, quando aveva parlato espressamente dei “gravi contrasti sorti nella regione del Golfo Persico”.
LA PARTNERSHIP TRA QOM E LA LATERANENSE
Che i rapporti siano buoni lo dimostra anche la collaborazione con l’Università delle Religioni avviata dalla Pontificia Università Lateranese. Il suo rettore, mons. Enrico dal Covolo, ha spiegato i contorni dell’accordo a Paolo Rodari, su Repubblica. Si tratta “di uno scambio di docenti e studenti. Abbiamo già ospitato un gruppo di studenti del seminario sciita di Qom e manderemo presto i nostri in Iran”. L’università, ha aggiunto dal Covolo, “per sua natura è incontro di orizzonti culturali diversi e non necessariamente conciliabili. Il problema è che il dialogo può divenire retorica buonista quando chi dialoga non ha idea di chi è e da quale storia proviene. Può accadere come nel duetto canoro, dove uno dei due inizia a cantare e si accorge di non aver voce. Fuori di metafora sto parlando dell’Occidente che ‘non ama se stesso’ come espresso dall’allora cardinal Ratzinger in una conferenza del 2004 e che spesso confonde il dialogo con l’arrendevolezza culturale”. Tra tempo, tra l’altro, la Lateranense accoglierà come visiting professor l’ayatollah Mahmoud Taghizadeh Davari, chiamato a coordinare un progetto di ricerca comparato sulla teologia sociale sciita e cattolica.