L’aumento di capitale da 3,5 miliardi di Saipem continua con numeri da brivido mentre ormai manca pochissimo al 5 febbraio, ultimo giorno di negoziazione in Borsa dei diritti di opzione. Certamente, con il senno di poi, visto che ex ante non si può mai sapere, la tempistica dell’operazione non è stata delle più felici, alla luce del crollo delle Borse avvenuto tra il 2 e il 3 febbraio.
AZIONI E DIRITTI A PICCO
Proprio il 3 febbraio è stato il giorno del tracollo: al termine di una seduta di Borsa complessa per tutto il mercato, le opzioni connesse all’aumento sono crollate di quasi il 50% (-49,45% per la precisione), a 1,099 euro, segnando la peggiore seduta per la società di servizi petroliferi dal via libera all’aumento di capitale. Come si legge il 4 febbraio su Repubblica, mercoledì 3 “l’opzione che offre la possibilità ai soci di rilevare 22 azioni di nuova emissione del gruppo guidato da Stefano Cao ha dimezzato il suo valore, crollando a 1,099 euro e non allineandosi con il prezzo delle azioni (-2,7%)”. Se si considera che agli azionisti vengono offerti titoli di nuova emissione al prezzo di 0,362 euro e che ogni opzione consente di sottoscrivere 22 nuove azioni, significa che il prezzo implicito dettato dall’operazione di aumento di capitale di Saipem è pari a poco più di 41 centesimi. In altre parole, meno degli 0,53 euro a cui ha chiuso l’azione in Borsa il 3 febbraio, “e la metà – aggiunge Repubblica – rispetto al valore di carico storico del suo primo azionista Eni (socio al 30,5% di Saipem che ha in bilancio i titoli a 0,96 euro)”.
SCADENZA AGLI SGOCCIOLI
“C’è tempo – aggiunge il quotidiano di Largo Fochetti – fino al 5 febbraio per negoziare i diritti dell’operazione, poi si aprirà l’asta dell’eventuale inoptato, che è comunque garantito da un consorzio di banche, ma molti analisti restano scettici sull’operazione. Date le attuali valutazioni del greggio, il gruppo che trae buona parte dei suoi ricavi dai servizi petroliferi, ha di fronte a sé un mercato molto competitivo e fatto di margini risicati”. “Saipem – scrive invece Angela Zoppo su Mf – si trova a barcollare sempre più proprio mentre si avvicina la scadenza del 5 febbraio, che metterà fine alla possibilità per gli azionisti di vendere i diritti. Molti di questi resteranno, per così dire, orfani, per quella percentuale del retail che non avrà dato disposizioni alle proprie banche. Gli istituti di credito, perciò, potrebbero venderli in automatico, creando ulteriore pressione sul prezzo”. Insomma, non è detto, sulla base degli andamenti di Borsa, che la ricapitalizzazione sarà sottoscritta per tutti i 3,5 miliardi richiesti. Cifra che, va ricordato, finirà tutta nelle casse dell’azionista di controllo Eni, con cui Saipem intende chiudere i conti.
LA PERDITA IMPLICITA DEL FONDO STRATEGICO
Sul crollo delle azioni del 3 febbraio, l’agenzia Radiocor ha calcolato la perdita latente dell’investimento del Fondo strategico italiano (Fsi) della Cassa depositi e prestiti (Cdp), che poco prima che iniziasse l’aumento aveva annunciato di avere chiuso l’acquisizione da Eni del 12,5% di Saipem. Il passaggio di mano della quota era stato definito tra ottobre e novembre, quando le azioni della società di servizi petroliferi guidata da Stefano Cao viaggiavano a quotazioni decisamente più alte, tra 8 e 9 euro. Ecco perché oggi il Fondo strategico della Cassa presieduta da Claudio Costamagna e guidata dall’ad Fabio Gallia si è trovato costretto a pagare un prezzo molto più elevato rispetto agli attuali valori di Borsa: 463,2 milioni per il 12,5% della società, ossia 8,4 euro per titolo circa. Ebbene, secondo i calcoli di Radiocor, sulla base dei prezzi del 3 febbraio, su quell’investimento il fondo della Cdp accusa una minusvalenza teorica di 373 milioni.