La situazione politica italiana sarà pure diversa da cinque anni fa, come ha appena ricordato l’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano a Stefano Folli sulla Repubblica di carta, evocando in particolare la maggioranza di governo di Silvio Berlusconi che nel 2011 perdeva pezzi continuamente, come ne perde ancora dai banchi dell’opposizione il partito berlusconiano, tornato a chiamarsi Forza Italia. Ma il quadro delle relazioni politiche vere fra Roma, Bruxelles, Berlino e Parigi, al di là e contro lo “splendido rapporto personale” vantato da Matteo Renzi con Angela Merkel, è terribilmente simile.
Sono cambiate in questo quadro alcune teste, è vero. Al posto del portoghese Josè Manuel Durao Barroso, alla guida della Commissione dell’Unione Europea, c’è il lussemburghese teutonico Jean Claude Juncker. Al posto del conservatore Nicolas Sarkozy c’è all’Eliseo il socialista François Hollande. E a Roma, naturalmente, al posto di Berlusconi c’è Renzi. A Berlino invece c’è sempre lei: la cancelliera di ferro, si potrebbe dire se non si temesse di rubare il soprannome alla lady conservatrice che guidò per tanti anni la Gran Bretagna, Margaret Thatcher.
Sono cambiate, dicevo, un po’ di facce, salvo quella della Merkel. E Hollande, alle prese con la guerra da lui orgogliosamente dichiarata al Califfato nero, ha meno da sorridere di Sarkozy quando parla con la cancelliera tedesca, davanti ai giornalisti, degli ospiti sgraditi o semplicemente scomodi nei vertici europei. Ma mister Spread, quel fantomatico personaggio che riesce a muovere miliardi di euro da un momento all’altro sui mercati finanziari, facendo le fortune o le disgrazie dei titoli di Stato dei vari paesi dell’Unione, sta sempre lì. Ed è tornato a farsi sentire, sia pure avvolto nel mantello del fantasma, mandando a Renzi il segnalino minaccioso del salto del cosiddetto differenziale tra i titoli di Stato tedeschi e italiani dalla quota 90, dove il presidente del Consiglio italiano si vantava di averlo portato, a quasi 150. Che è sempre meno di quota 200, dove Renzi ricorda di averlo ereditato dall’allora sereno Enrico Letta, ma potrebbe da un momento all’altro risalire ancora e superarla, se non lo ha già fatto mentre scrivo, o voi mi leggete.
Questo bizzoso e pericoloso mister Spread continua purtroppo a muoversi in sintonia, spero finalmente avvertita anche dal buon Giorgio Napolitano, con gli ordini di vendita e di acquisto dei titoli che partono dalle banche, centrali o meno, di Berlino e di Parigi.
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Scusatemi, se questa è l’Unione Europea sognata – ma non credo – dal povero Altiero Spinelli e amici confinati dal fascismo a Ventotene, e coltivata più concretamente dagli stessi una volta tornati finalmente liberi, verrebbe voglia di dire ai loro eredi politici e culturali di tenersela pure. Anche con il condimento di una burocrazia più o meno “tecnica”, e abbastanza costosa, che il buon Paolo Mieli ha appena dato l’impressione di volere difendere sul Corriere della Sera, chissà perché, dalle proteste e dalle ironie di Renzi. Che si può tuttavia consolare con il giudizio negativo appena datone dal Papa, senza il permesso e il consenso dell’amico Eugenio Scalfari.
Non so se a Berlino, o a Parigi, o a Bruxelles, o contemporaneamente nelle tre capitali, e succursali, vorranno veramente ripetere sino in fondo la partita giocata cinque anni fa contro l’allora governo di Silvio Berlusconi, poi raccontata fra imbarazzate smentite o precisazioni di Napolitano ancora al Quirinale, dal giornalista americano Alan Friedman. Ma sarà bene che qualcuno spieghi ai soci veri o occulti di mister Spread che questa volta la trippa al Colosseo è diminuita. Alternative tecniche a Renzi sarebbe difficile, se non impossibile, trovarne. E al prossimo giro italiano, preceduto magari da un turno di elezioni anticipate con chissà quale legge, i signori di Bruxelles, Berlino e Parigi potrebbero trovarsi costretti a godersi, pagando il biglietto al teatro, lo spettacolo del comico Beppe Grillo.
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Fra le novità italiane che forse nelle capitali europee sono sfuggite, visto anche che il personaggio ha di suo un profilo basso, c’è l’insediamento al Quirinale di Sergio Mattarella. Che quatto quatto, secondo il suo stile, pur non riconoscendosi forse in quello di Renzi, se n’è andato proprio in questi giorni nei lontani Stati Uniti d’America procurandosi alla Casa Bianca un gesto d’amicizia e di solidarietà che sembra modesto, ma non lo è.
L’offerta del presidente pur uscente Barack Obama dell’aiuto della Nato all’Italia, con navi e aerei americani, per fronteggiare nel Mediterraneo l’emergenza degli immigrati, i cui costi Renzi stenta peraltro a farsi decurtare dai tecnici e dai politici dell’Unione nell’applicazione dei cervellotici parametri europei concordati nel 1992, dovrebbe fare arrossire di vergogna quanti in Europa hanno lesinato e tardato, e tuttora lesinano e tardano, ad avvertire le dimensioni di un problema rovesciatosi sulle nostre coste, e confini, come su quelle greche, per ragioni semplicemente geografiche, cioè naturali. Un problema di fronte al quale l’Europa sembra tornata purtroppo quella di sempre: delle divisioni, dei pregiudizi, delle diffidenze, degli egoismi. E delle speculazioni, politiche e finanziarie.