Negli ultimi due giorni la Turchia ha sparato varie salve d’artiglieria contro i curdi siriani nell’area settentrionale di Aleppo, nel cosiddetto corridoio Azaz-Aleppo, la striscia di terra di una quarantina di chilometri che dalla seconda città siriana sale verso il confine turco, dove le forze governative stanno avanzando sui ribelli e le milizie curde stanno approfittando della situazione per espandersi. Cioè hanno sparato contro quelli che gli Stati Uniti considerano i più fidi alleati: se non è un problema strategico questo, visto che i turchi anche sono alleati americani, difficile immaginarne altri.
I PIANI USA
Il Pentagono ha annunciato ad inizio anno i nuovi piani strategici per la lotta allo Stato islamico: avanzare su Mosul e Raqqa, le capitali irachena e siriana dell’Isis. Se Mosul pare un obiettivo ambizioso, al limite della narrazione, su Raqqa il piano è quasi operativo. Washington ha scelto come alleati i curdi siriani, con aperto malcontento della Turchia che li considera nemici, senza farne segreto e infatti gli spara contro e ha piazzato al confine un contingente nutrito, fatto di artiglieria, fanteria, corpi meccanizzati. Gli americani hanno inviato armi, fornito sostegno aereo e disposto una manciata di forze speciali come consulenti militari da affiancare alla milizia curda YPG. Addirittura hanno promosso la creazione di un raggruppamento di ribelli creato ad uopo, la Syrian Democratic Force (SDF), dove YPG è azionista di maggioranza su fazioni arabe, cristiano-siriache e clan tribali locali: il gruppo avrà il compito di isolare la capitale siriana dell’Isis.
Ma dopo qualche settimana di buoni risultati la fase operativa sta deviando dai piani programmati dal Pentagono, seguendo le rotte di un’agenda personale curda, nota e mai nascosta sebbene i miliziani diventati famosi per la vicenda di Kobane siano i più valorosi (e affidabili) combattenti presenti sul campo contro lo Stato islamico.
HASAKAH E L’AREA ORIENTALE
L’area siriana che va dallo spicchio più orientale del confine con l’Iraq e si estende verso ovest lungo la divisione con la Turchia, si chiama provincia di Hasakah: è un territorio petrolifero, soprattutto nella fascia meridionale controllata dallo Stato islamico, mentre al nord la zona è presidiata dai curdi. Nell’area che controllano i curdi, niente si muove senza il consenso dell’YPG (e della controparte politica PYD). Lo sceicco Humaydi Daham al Hadi, il capo della tribù Shammar, uno dei clan locali che fanno parte dell’alleanza SDF, ha parlato con l’agenzia McClathy americana e ha spiegato che la sua milizia, che si chiama al Sanadid e che conta settecento uomini e circa duemila riservisti, sarebbe pronta a scendere verso Raqqa, ma ancora i curdi, che coordinano le operazioni, non hanno dato il via libera. Il figlio dello sceicco, Bandar, comandante militare della milizia, dice che avrebbero bisogno di armi, ma non hanno ricevuto nemmeno un proiettile. L’11 ottobre un Globmaster americano ha paracadutato 50 tonnellate di armamenti in un’area pre concordata con i curdi: quelle armi sarebbero servite a tutta la SDf, dunque anche alla milizia di Shammar, che i curdi stessi avevano raccomandato come affidabile agli Usa, ma ancora l’YPG non ha iniziato la distribuzione; ufficialmente, in via ufficiosa pare che se le stia tenendo per sé.
Ad est ci sono anche altri volonterosi, piuttosto che i curdi i quali stentano a continuare l’avanzata verso sud, dove si trova Raqqa, se non in zone che rientrano tra i propri obiettivi. Si tratta di una fazione combattente che si fa chiamare Liwa Thurwar al Raqqa, ossia i Rivoluzionari di Raqqa: sono guidati da un comandante con nome de guerre Abu Issa, intervistato anch’egli (per la prima volta da un media occidentale) dalla McClathy. Abu Issa dice di essere pronto in qualsiasi momento a lanciarsi sulla capitale dei baghdadisti, ma lamenta anch’egli l’assenza di armi e il fatto che con lui gli americani non comunicano, nonostante 15 dei suoi abbiano ricevuto nozioni tecniche sull’uso dei missili anticarro Tow nell’ottica del programma gestito dalla Cia in collaborazione con turchi e sauditi.
IL CANTONE DI AFRIN
Se ad est la situazione stalla, ossia niente si muove se non rientra nell’agenda di interesse curda, la situazione diventa ancora più chiara nell’area occidentale. Il principale (e più famoso e mediatico) comandante dell’YPG, Polat Can, ha chiaramente spiegato che “noi dell’YPG abbiamo un obiettivo strategico, collegare Afrin con Kobanê”, e cioè prendere quella fetta di territorio che va da Azaz a Jarablus, attualmente in mano allo Stato islamico (ma non troppo difesa) e in cui la Turchia ha stabilito una sorta di campo profughi improvvisato per aiutare i civili in fuga da Aleppo (un sorta di buffer zone). Questa linea dettata da Can, rende chiarezza alla motivazione per cui i turchi vogliono curare gli sfollati direttamente in Siria: Ankara, con la propria presenza, intende tagliare la strada ai curdi.
Giovedì gli uomini dell’YPG appoggiati dalla fazione araba Jaish al Thuwwar (il duetto rappresenta per così dire l’SDF nell’area, ma lì sono ancora più lontani dall’orbita americana) hanno attaccato la Jabha al Shamiya, un gruppo di ribelli riconducibile al Free Syrian Army, ossia i ribelli moderati alleati di Occidente, turchi e sauditi. L’YPG ha sopraffatto i ribelli siriani e conquistato la ex base aerea di Menagh, nei pressi di Azaz: l’aeroporto militare è ormai in macerie, ma ha un valore strategico perché si trova lunga l’asse che conduce ad Aleppo dalla Turchia e rappresenta un pezzetto in più nell’obiettivo curdo di chiudere quel pezzo di territorio che separa i due lati del Rojava. Proprio per questo la Turchia cerca di ostacolarli anche con colpi di artiglieria (che nella serata di sabato hanno colpito anche postazioni dell’esercito siriano).
UN’ALLEANZA INQUIETANTE
E dunque, i curdi sono attivi dove conviene a loro, più che dove vorrebbero gli americani. Ma c’è di più: notizie non confermate, parlano del fatto che non solo i curdi abbiano avanzato su Menagh grazie alla copertura dall’alto dei jet russi, che hanno affiancato l’offensiva lanciata dall’YPG con una trentina di bombardamenti, ma nell’ottica del nemico del mio nemico è mio amico, i miliziani curdi sarebbero stati aiutati nel loro attacco anche a terra dagli Hezbollah libanesi. Gli Hez sono alleati russi, amici di Assad, che combattono su indicazioni iraniane i ribelli, tutti, soprattutto per ragioni ideologiche: sono sciiti contro una “rivoluzione” sunnita. Ma gli Hezbollah sono considerati dall’intero Occidente (a ragione) un gruppo terroristico: e dunque, se la cosa fosse confermata, dei terroristi avrebbero affiancato i migliori alleati americani, i curdi, mentre questi ultimi combattevano altri alleati americani, l’FSA, amici di altri alleati strategici americani, turchi e sauditi. Sembra un teorema di logica, incomprensibile, come quella che regola il conflitto siriano.
STRATEGIA
La Turchia colpisce i curdi sulla base di Menagh anche con un fine strategico. Se i soldati di Ankara, insieme con i sauditi, dovessero mettere piede in Siria, la base sarebbe un punto di appoggio naturale, posto su una direttrice logisticamente comoda per garantire ricambi e rinforzi.
(Foto: Twitter, il responsabile americano per la coalizione anti Isis Brett McGurk e il comandante curdo Polat Can)