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Perché l’Iran è ancora una minaccia

L’Iran ha fatto sapere di sostenere l’accordo raggiunto tra Russia e Arabia Saudita sul congelamento delle produzioni di petrolio, ma non ha per il momento detto che si adeguerà. Non è comunque escluso che Teheran possa accettare la proposta russo-saudita, primo perché di mezzo c’è la Russia, con cui la Repubblica islamica ha rinnovato l’intesa strategica soprattutto in ambito militare, anche se da Mosca si lamentano che stanno arrivando a rilento i pagamenti dei sistemi antiaerei S300 acquistati dagli iraniani.

I missili terra aria uniti alla futura (probabile) fornitura di caccia Su30 (e Su35), evoluti velivoli per superiorità aerea, rappresentano un forte deterrente per chiunque pensi di violare (o colpire) lo spazio aereo iraniano, e contemporaneamente rafforzano militarmente la sua posizione regionale. Teheran ha stretto il rapporto con Mosca, dopo qualche malumore nei mesi passati, grazie ai successi ottenuti dal regime siriano che entrambi i paesi sponsorizzano: un consolidamento dell’asse Russia-Siria-Iran. Da leggere soprattutto in quest’ottica l’enorme esercitazione organizzata dai sauditi al confine con l’Iraq, uno sfoggio di uomini, mezzi e tecnologie, che ha un fine politico, la deterrenza verso l’Iran, più che il coordinamento militare con gli altri paesi partecipanti (tutti sunniti e tutti alleati della Nato islamica).

Secondo aspetto, è la questione di interesse sulle esportazioni, perché è inverosimile che in questo momento gli iraniani accettino qualcosa che non porti loro convenienza. Secondo i detrattori, addirittura l’intero Nuclear Deal è da leggere sotto quest’ottica: una convenienza esclusiva di Teheran, che non rinuncia ai propri programmi militari clandestini, ma con la volontà formale ottiene in cambio aperture sui mercati. Lo ha detto abbastanza chiaramente il capo della National Intelligence americana James Clapper, il quale nella sua analisi annuale ha spiegato alla Commissione di Intelligence del Senato che l’Iran vede il deal come “un modo per eliminare le sanzioni mantenendo al tempo stesso le sue capacità nucleari e l’opzione di espandere la sua infrastruttura” aggiungendo che gli ayatollah “non hanno nessuna difficoltà tecnica insormontabile alla produzione di un’arma atomica, e il cuore della questione sta tutto nella volontà politica dell’Iran”.

LE IMMAGINI DI STRATFOR

Parchin-Site-Tunnel-satellite-imagery-020316 (1) Parchin-Site-Tunnel-satellite-imagery-020316Benzina sul fuoco di chi si oppone al deal, l’ha gettata la scorsa settimana la pubblicazione da parte dell’agenzia di intelligence privata Stratfor di alcune immagini satellitari che riguardano la base segreta di Parchin, che si trova qualche chilometro a sudest di Teheran. Parchin è uno dei luoghi in cui l’ambiguità iraniana si materializza: l’Iran non l’hanno mai inserita tra le basi nucleari, ma ci sono diversi report che nel corso degli anni l’hanno inquadrata come il luogo segreto dove avvengono sperimentazioni sui prodotti da combustione atomica. Quando lo scorso settembre gli ispettori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA) entrarono nell’impianto, dopo dieci anni di richieste sempre negate dall’Iran, furono accompagnati dai tecnici iraniani a visitare soltanto una parte della base, e notarono evidenti segni di dismissione e niente di più. Molti osservatori sostengono che agli ispettori fu mostrata una sorta di scenografia creata ad uopo, mentre invece fu nascosto il grosso della struttura, le parti sotterranee, i laboratori più avanzati. D’altronde, i messi internazionali si dovettero accontentare, avendo avallato un punto dell’accordo nucleare in cui rinunciavano praticamente alle analisi a Parchin, subappaltandole ai tecnici iraniani stessi, ossia gli è stato affidato il compito di auto controllarsi (“oste, com’è il vino?” “buono!“).

Ora Stratfor mostra che in realtà il sito non è dismesso come mostrato agli uomini della IEAE, ma è attivo e operativo, e ha avuto nel corso degli anni ampliamenti che con ogni probabilità hanno coinvolto anche strutture sotterranee, che potrebbero fare da laboratori nucleari. Un metodo di lavoro conosciuto: l‘Iran ha mostrato tempo fa dei tunnel ospitanti depositi e produzione di missili balistici convenzionali, anche quelli proibiti per Teheran, sebbene l’ultimo test di ottobre scorso s’è chiuso con una sgridata e niente più, tanto che Rouhani il moderato aveva risposto inviando una lettera al ministro della Difesa chiedendogli di aumentare studi e produzione dei vettori.

È dunque possibile pensare che anche le attività atomiche continuino comunque a progredire protette dalla luce del sole e dagli occhi degli ispettori: una comportamento ambiguo (non sarebbe una novità) sup genere della risposta sulla proposta di congelamento delle produzioni. In ultima analisi, dunque, pare sia solo la “volontà politica” (e gli interessi) di Teheran di cui parla Clapper a regolare il tutto. Un buon accordo, per gli ayatollah.



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