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Che cosa combinano Renzi, Boschi, Cirinnà e Zanda

Mentre il Papa, in volo dal Messico, si rifiutava con i giornalisti di “immischiarsi nella politica italiana” riferendosi anche alle polemiche sulla disciplina delle unioni civili, e aspirazioni genitoriali delle coppie omosessuali, a Bruxelles qualcuno giurava di avere sentito Matteo Renzi, pur preso con ben altri, drammatici problemi al vertice europeo, borbottare che la sua compagna di partito Monica Cirinnà, promotrice della legge, ha “più riccioli che cervello”.

Ma Renzi non si riferiva direttamente alla legge bloccatasi per una settimana nell’aula del Senato. Ce l’aveva con una clamorosa intervista al Corriere della Sera in cui la senatrice riccioluta, furente per l’infortunio del “canguro”, come spiegheremo, se l’era presa anche con i colleghi di partito della pur variegata corrente del presidente del Consiglio. Variegata perché, come accade abitualmente attorno ai potenti di turno, si sommano e s’intrecciano vecchie e nuove adesioni, ambizioni, frustrazioni e quant’altro.

È proprio ai presunti frustrati fra i renziani che la Cirinnà, poi corsa a tentativi di smentite e precisazioni, aveva attribuito la colpa di scaricare sulla sua legge la mancata nomina, di recente, a vice ministri, sottosegretari, presidenti e vice presidenti di commissioni parlamentari. Cui il governo e la maggioranza in effetti avevano appena proceduto per riempire vuoti creatisi negli anni e mesi scorsi, o per gli avvicendamenti di metà legislatura, nel caso delle commissioni.

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Quello che avrebbe fatto infuriare, e non a torto, il presidente del Consiglio, tentandolo ad una sforbiciata dei riccioli della Cirinnà, è l’incontestabile mancanza, diciamo così, del corpo del reato.

A bloccare la legge sulle unioni civili e dintorni non è stata una votazione a scrutinio segreto, la prima di quelle, più o meno numerose, che dovranno comunque svolgersi sugli emendamenti, specie in materia di adozioni, col rischio della comparsa dei soliti “franchi tiratori”. Che votano contro le indicazioni dei rispettivi gruppi e partiti senza dirlo.

Lo stop, almeno fino al 24 febbraio, quando il Senato tornerà ad occuparsene in aula, è stato procurato alla legge Cirinnà solo dal rifiuto annunciato dai grillini di vanificare buona parte degli emendamenti, i più temuti dalla senatrice con i riccioli, infilandoli a forza nel marsupio tritacarte di un espediente regolamentare chiamato proprio per questo “canguro”.

Ammesso e non concesso che ci fossero renziani tentati dalla dissidenza per frustrazione, e non per dubbi etici sugli aspetti più controversi della legge, costoro non avevano dunque avuto ancora la concreta occasione di agire.

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Piuttosto, la Cirinnà avrebbe dovuto e dovrebbe tuttora prendersela con l’ingenuità, o la disinvoltura, sua e persino del suo capogruppo, il pur navigatissimo Luigi Zanda, nel ritenere possibile che un gruppo di opposizione addirittura sistemica com’è quello dei grillini potesse a cuor leggero aderire ad una misura contestata in altre occasioni perché usata contro di loro.

L’eccezione o emergenza reclamata dalla Cirinnà e dal suo gruppo nell’approccio con i grillini, costituita da alcune migliaia di emendamenti ostruzionistici della Lega, una volta rimossa – com’è avvenuto – con il loro ritiro, o con la riduzione a poche centinaia, smaltibili in non più di cinque sedute parlamentari, avrebbe dovuto indurre la stessa Cirinnà e il suo capogruppo a fermarsi da soli. Senza lasciarsi bloccare dai grillini e, accusandoli di tradimento, farne vittime di un’aggressione politica. O campioni di coerenza e di democrazia, visto peraltro che sugli aspetti più controversi della legge, a sorpresa, Grillo in persona dal suo blog aveva lasciato ai suoi senatori più libertà di coscienza di quanta ne avessero permessa i dirigenti del Pd ai loro parlamentari.

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In realtà, più ancora che con i riccioli della Cirinnà, o della Cirinnò, come già qualcuno la chiama, il presidente del Consiglio e segretario del Pd avrebbe dovuto e dovrebbe protestare, per il grande pasticcio esploso a Palazzo Madama sulle unioni civili, adozioni eccetera, con il suo capogruppo e con quei ministri e sottosegretari che, distinguendo peraltro come acrobati le loro funzioni di governo da quelle di parlamentari, hanno partecipato alla gestione, diciamo così, dell’affare.

Ancora più sopra del capogruppo del Pd e persino del presidente dell’assemblea Pietro Grasso, arrivato a delegare pazientemente a Zanda una lunga serie di contatti e incontri prima dell’incidente sul cosiddetto canguro, c’è naturalmente il Senato. Sul cui conto non c’è neppure bisogno di chiedere un giudizio a Renzi, vista la sorte che gli ha riservato nella riforma costituzionale che porta ormai il suo nome.

Resta comunque alla senatrice Cirinnà una soddisfazione. L’arcivescovo Nunzio Galantino, il segretario della Conferenza Episcopale italiana che non ha condiviso l’”auspicio” del suo presidente, cardinale Angelo Bagnasco, per il ricorso al voto segreto nell’aula del Senato sugli aspetti più controversi della sua legge, ha appena ottenuto un nuovo canale di comunicazione con l’esterno. E’ una rubrica di “Testimonianze dai confini” sul Sole-24 Ore. Che ha fatto l’esordio in prima pagina con un elogio della “freschezza della rivoluzione di Francesco”. Papa Francesco, naturalmente.


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