Ci sarebbero anche l’Italia e l’allora premier Silvio Berlusconi tra gli obiettivi sorvegliati dall’attività dell’Nsa che ha dato vita al caso scaturito dai documenti sottratti all’agenzia dalla talpa Edward Snowden. Stando a un’intercettazione top secret dell’ottobre 2011, che Wikileaks ha pubblicato assieme all’Espresso e a Repubblica, emergerebbe “una attività di monitoraggio e intercettazioni ai danni” dell’allora presidente del Consiglio “e del suo entourage” nei giorni che anticipano la caduta del suo governo e in cui si svela un ultimatum posto dagli allora capi di Stato di Germania e Francia, Angela Merkel (ancora in carica) e Nicolas Sarkozy. Oggi, per rispondere alle richieste di chiarimenti da parte di Forza Italia, Matteo Renzi ha spiegato che la Penisola chiederà “informazioni in tutte le sedi, anche con passi formali, sulla vicenda di Berlusconi”. Mentre la Farnesina ha convocato oggi l’ambasciatore degli Stati Uniti d’America in Italia, John Phillips, per chiedere chiarimenti in merito.
Quali sono le vere ragioni di quell’attività di spionaggio? A cosa ha portato? E, viste le rivelazioni sugli atteggiamenti assunti da Berlino e Parigi, è normale e sano che ciò accada tra alleati?
Ecco alcuni dei temi analizzati in una conversazione con Formiche.net dal generale Carlo Jean, esperto di geopolitica e professore di Studi strategici alla Luiss e alla Link Campus University di Roma.
Generale, da ultimi cablo rilasciati da Wikileaks, ripresi dall’Espresso e da Repubblica, emergerebbe un’attività di monitoraggio e intercettazioni ai danni dell’allora premier Silvio Berlusconi e del suo entourage nei giorni che anticipano la sua caduta. I capigruppo di Forza Italia al Senato e alla Camera, Paolo Romani e Renato Brunetta, chiedono incontro urgente al sottosegretario con delega ai servizi Marco Minniti e al premier di riferire in Parlamento. Mentre la Farnesina ha convocato oggi l’ambasciatore degli Stati Uniti d’America in Italia, John Phillips, per chiedere chiarimenti in merito. Fanno bene?
A parte le pur legittime e rituali rimostranze e richieste di chiarimento formali, prendere ulteriori iniziative non ha molto senso per almeno due ragioni. La prima è che si tratta di cose già note: eloquente in quei giorni, più di questi cablo, fu la messa sul mercato di miliardi di titoli di Stato italiani posseduti da Deutsche Bank senza informare il nostro Paese. Un’operazione che fece immediatamente schizzare alle stelle il nostro spread, accelerando l’uscita di scena di Berlusconi. La seconda è che è fuori luogo far finta ancora di stupirsi per qualcosa di arci noto: tutti spiano e sono spiati.
Non è inusuale farlo fra alleati?
No. Se spiare i nemici ha senso, ne ha forse ancor di più farlo con partner con cui si negozia. Sapere fino a che punto spingersi conoscendo la vera posizione di chi si ha di fronte aiuta a trovare una sintesi, oltre a consentire di verificare, in seconda battuta, se gli accordi presi vengono davvero rispettati.
Al di là della già nota attività dell’Nsa, le intercettazioni confermerebbero per alcuni un ruolo decisivo di Germania e Francia nella fine del governo Berlusconi. Crede che ciò, alla luce del fronte aperto in Europa dal premier Matteo Renzi, possa rendere più semplici le rivendicazioni dell’Italia?
Credo di no. Oltre ad essere casi distinti, quella di spiare, come detto, è una prassi comune e consolidata, che coinvolge anche il nostro Paese anche se si fa fatica ad ammetterlo. O, peggio, questi episodi si usano strumentalmente per evocare un clima da Guerra Fredda in cui l’attività dei Servizi viene ancora vista con sospetto.
Non ci sono, dunque, valutazioni politiche nell’uscita di quelle intercettazioni in questo determinato momento?
Lo escluderei. Semplicemente Wikileaks ne ha fatto un lucroso business e decide di volta in volta quando può ricavarne il prezzo migliore.
Ci sono, a sua memoria, casi che hanno visto il nostro apparato d’intelligence raccogliere informazioni analoghe?
Non so se possano esserci veri e propri parallelismi, ma ci sono innumerevoli episodi da citare. Tra i più rilevanti c’è la politica messa in atto da Enrico Mattei con Sifar e Sismi per la penetrazione nel mondo arabo e il rafforzamento delle relazioni, economiche e politiche con l’Egitto. O il finanziamento, negli anni 30, di pacifisti francesi e britannici per influenzare i governi e spingerli ad assumere posizioni utili al nostro Paese.
Per questo mi stupisce che, al di là della forma, ci sia chi ancora alza polveroni per qualcosa di abituale e non da oggi. Semmai il problema italiano è un altro: è che in questo frangente siamo messi peggio di altri e non lottiamo ad armi pari.
Come mai?
In Italia ogni intercettazione, anche quelle operate dai Servizi, devono passare dall’approvazione di un magistrato. E se in alcuni casi ciò può costituire un elemento di garanzia, in altri, quelli più urgenti o rilevanti per la sicurezza nazionale, rischia di essere molto limitante.
Tenendo conto di questi aspetti, come valuta le intenzioni di Matteo Renzi, svelate dalla stampa, di mettere mano alla governance della cyber security italiana?
Sicuramente sul tema ci sono spazi di grande miglioramento, anche se negli ultimi anni sono stati fatti grossi passi in avanti. Negli scorsi decenni, con un’economia meno influenzata dalla finanza e senza gli effetti della globalizzazione, avevamo spazi di sovranità molto più ampi, nei quali era molto più semplice muoversi per i nostri servizi d’intelligence. Ora quel quadro è mutato e gli altri Paesi sono in una condizione molto più agevole per sfruttare la nostra debolezza e le nostre vulnerabilità a loto favore. Ecco perché intervenire, seppur con formule da definire che tengano conto di tutti gli aspetti, è quanto mai necessario.