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Tutte le bizzarrie di Trump da Mussolini a Hitler

Una frase di Benito Mussolini, rilanciata con un tweet da Donald Trump, agita – più da noi che negli Usa, per la verità – la vigilia del Super Martedì, quando democratici e repubblicani andranno alle urne (gli uni e gli altri in una dozzina di Stati) per scegliere circa un quarto dei delegati alle convention.

“Meglio vivere un giorno da leone che cento giorni da pecora” è la frase che Trump riprende dall’account @ilduce2016, ironicamente creato lo scorso anno, con una foto di Mussolini ritoccata con i capelli rossi di Donald Trump.

Non era chiaro inizialmente se si fosse trattato di una gaffe o di una scelta consapevole da parte del magnate dell’immobiliare che nei giorni scorsi aveva già rilanciato messaggi di suprematisti bianchi e incassato l’appoggio – rifiutato – di leader del Ku Klux Klan. Ma lo stesso Trump ha fatto poi chiarezza: era conscio che la frase fosse di Mussolini e l’ha rilanciata perché è una bella frase, “che male c’è?”.

L’account da cui Trump l’ha tratta è di Gawker, un blog newyorkese di gossip, che ha a sua volta twittato: “Abbiamo realizzato un account Twitter con Mussolini per vedere se Trump era stupido abbastanza da ritwittarlo. Lo è stato!”. L’account è stato creato da Ashley Feinberg e pubblica “frasi e discorsi del dittatore fascista italiano Benito Mussolini, tutte attribuite all’uomo d’affari e candidato alla presidenza Donald Trump”.

L’episodio fa evocare alla stampa Usa passate indiscrezioni attribuite all’ex moglie di Trump, Ivana, che nel 1990 – secondo Vanity Fair – raccontava che Donald teneva un libro con la raccolta dei discorsi di Adolf Hitler sul comodino. “Le sue origini tedesche sono prese seriamente da Trump. Quando John Walters, che lavora per la Trump Organization, entra nell’ufficio di Donald, lo saluta con ‘Heil Hitler’, probabilmente un gioco di famiglia”, scriveva Vanity Fair citando l’entourage d’Ivana. E ancora: “Ivana Trump ha detto al suo avvocato Michael Kennedy che ogni tanto il marito leggeva un libro con i discorsi di Hitler, My New Order”.

E sono delle ultime 48 ore i propositi di Trump di rivedere le leggi sulla diffamazione, in funzione anti media.

Ce n’è abbastanza per rinfocolare le preoccupazioni già elevate dell’establishment repubblicano e dei conservatori moderati per una candidatura di Trump alla Casa Bianca, che The Economist vuole ‘licenziare’, riprendendo il programma televisivo che lo rese uno showman. Tanto che, nell’imminenza del Super Martedì, che lo vede favorito, rispunta il nome di Mitt Romney, come possibile piano B, nel caso in cui Marco Rubio, il senatore della Florida, non ce la facesse domani (e poi proprio in Florida, nel suo Stato), ad arginare lo showman. Romney fu il candidato repubblicano nel 2012 e non è sceso in lizza quest’anno.

Nei sondaggi in vista di domani, Trump è avanti in molti Stati, fra cui Georgia e Tennessee, mentre il senatore Ted Cruz è avanti in Texas, il suo Stato, il terzo dell’Unione, con largo margine. Trump domina pure a livello nazionale, con oltre il 44% delle preferenze: Cruz ne ha il 20%, Rubio il 14%, secondo un altro rilevamento. I delegati repubblicani in palio nel Super Martedì sono circa 600, quasi la metà dei 1.237 necessari per ottenere la nomination. Trump, che ne ha già un centinaio, potrebbe ritrovarsi a buon punto.

Una cosa che accomuna gli aspiranti alla nomination repubblicana è il ‘no’ al piano del presidente Barack Obama sulla chiusura della prigione di Guantanamo: Rubio e Cruz, entrambi cubani d’origine, sbandierano: “Non chiuderemo Guantanamo e non restituiremo un’importante base navale a una dittatura comunista e anti americana”. Rubio aggiunge: “Se sarò presidente non porterò i terroristi in una corte di Manhattan e non li spedirò in un carcere in Nevada. Li manderò proprio a Guantanamo”.

In campo democratico, secondo il sondaggio WSJ/Marist, Hillary Clinton è nettamente avanti su Bernie Sanders in vari Stati ed è in doppia cifra in Texas, Georgia e Tennessee. Dopo la vittoria di sabato in South Carolina, l’ex first lady è subito ripartita in campagna insistendo sui punti chiave del suo programma sociale ed economico: aumento dei salari, tutela dell’economia dagli eccessi della finanza, riforma della giustizia, no all’aumento senza controlli dei prezzi dei farmaci.

Sanders, che ha detto di essere stato “decimato” in South Carolina, dove ha comunque vinto fra gli ‘under 30’, punta a vincere nel suo Vermont e nel Massachusetts, oltre che in Minnesota, Colorado e Oklahoma.

Per ulteriori approfondimenti sulle elezioni presidenziali americane, clicca qui per accedere al blog di Giampiero Gramaglia, Gp News Usa 2016



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