Era il 1993 quando Forza Italia vide la luce e il 1994 quando divenne il primo partito del bel Paese. Era l’era di Tangentopoli, della gloriosa macchina da guerra e del crollo di una prima Repubblica che, nel bene e nel male, aveva tirato su un Paese dalle mille risorse ma anche dai mille misteri e dai mille privilegi. Un Paese forte – allora quinta forza economica del pianeta – ma assai ammalato. In quella situazione Forza Italia divenne il rifugio “naturale” per tantissimi italiani che, appena qualche mese prima, dividevano il loro consenso tra le cinque forze del pentapartito: DC, PSI, PLI, PSDI, PRI.
Si parlò allora di Forza Italia come di un partito “radicale di massa” di ispirazione liberale, riformista e – solo collateralmente – popolare. Un partito che la sinistra appellò come il partito azienda, come il partito di plastica. Un partito a-ideologico che univa in sé – e ciò fu la novità che annichilì gli avversari – uomini e donne, intellettuali, politici ed ampi settori della classe dirigente di formazione assai diverse, spesso contrapposte.
Un puzzle in cui – come afferma il Presidente Marcello Pera nella stimolante intervista rilasciata al settimanale Pagina 99 – «c’era già tutto». Ma non era il Partito della Nazione: quel partito che l’ascesa di Renzi al soglio del Nazareno e di Palazzo Chigi ha fatto subito intravedere. Certo, come puntualmente sottolinea l’ex presidente del Senato, molte sono le contiguità tra i programmi di Forza Italia, le promesse del Cav. e l’attuale azione di governo. Ma le possibili comparazioni sembrano fermarsi qui. Forza Italia fu inventata e strutturata a immagine e somiglianza di Berlusconi. Berlusconi era Forza Italia ma non riuscì mai a divenire il suo governo. Per Renzi vale l’opposto: lui è il suo governo, non il partito di cui è segretario e che spesso rappresenta la vera spina nel fianco dell’esecutivo.
E se un Partito della Nazione dovesse nascere prenderà corpo dall’azione e dai risultati dell’attuale governo e dal programma di quello futuro. E nascerà -come si sta delineando- in seno del PD. Non come un “contenitore” ex-novo dalle mille radici come fu ed è Forza Italia, né come un PD 2.0. Ma piuttosto un partito (tutt’altro che liquido) dalla chiara impronta cattolica (ma per niente confessionale), riformista e liberale quanto basta. Un partito svincolato dalle ideologie come dalle rispettive “chiese” ed assai pragmatico: gentile ma all’occorrenza sfrontato, accomodante ma al contempo inflessibile. Un partito con tanti “padroni” ma senza “il padrone”. Insomma una sorta di controcanto al movimento azzurro, capace -come l’attuale gabinetto Renzi – di prendere il buono che c’è a sinistra e a destra senza timori né pudori. Il partito della gente non solo della “bella gente” e, soprattutto (qui la differenza culturale), un partito senza nemici giurati.
Se il buon giorno si vede dal mattino, la distanza destinata a separare Forza Italia dal futuro partito della nazione è paragonabile alla distanza che separa Berlusconi da Renzi: per alcuni versi (nel bene o nel male) un’altra era!