Di fronte al perdurante sconquasso delle primarie locali nel Pd, dalle cui irregolarità e dai cui ricorsi respinti a tamburo troppo battente gli sconfitti traggono motivo per lasciarsi tentare da ripicche e sabotaggi nelle elezioni amministrative di giugno, Silvio Berlusconi ha avuto gioco sin troppo facile per scrivere lettere e rilasciare interviste ai giornali dell’area cosiddetta moderata – da QN del gruppo Riffeser al Messaggero di Francesco Gaetano Caltagirone – allo scopo di confermare la sua notissima avversione a questo strumento di selezione dei candidati e, più in generale, dei dirigenti di partito. E irridere “buontemponi” come il suo ex ministro Francesco Storace o ammonire alleati troppo bizzosi, o di sospetta slealtà, come Matteo Salvini. Che continuano lo stesso a reclamare primarie anche nel centrodestra, o in quel che ne rimane.
“Le primarie –ha scritto l’ex presidente del Consiglio al fascicolo nazionale di Nazione, Resto del Carlino e Giorno – hanno dato al Pd i peggiori sindaci della sua storia alla guida delle grandi città, ogni volta con un contorno di polemiche su brogli, voti comprati, gruppi di cinesi e rom portati a votare in massa senza avere la minima idea di cosa andassero a fare. Non so davvero perché il centrodestra dovrebbe prestarsi a una farsa di questo tipo”.
Il concetto di “farsa” risulta obiettivamente confermato anche dalle dimensioni direi comiche dei “voti comprati”, visto che ad acquistarli sono bastati a Napoli, prevalentemente o esclusivamente a favore dell’avversaria di Antonio Bassolino, due euro ciascuno. O biglietti di dieci euro, incorporati della mancia di otto, al netto cioè del costo di accesso al seggio. Roba che neppure il buon Eduardo De Filippo avrebbe forse immaginato in una commedia dedicata alle primarie partenopee.
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Berlusconi, per quanto critiche restino le sue condizioni politiche in quel vecchio schieramento da lui inventato e trasformatosi ormai in un pollaio ancora più chiassoso e masochista della sinistra, ha avuto facile gioco anche nel contestare l’accusa di Storace, ma in fondo anche di Salvini, di avere chissà quali e quanti accordi segreti con Matteo Renzi per facilitare con deboli candidature di centrodestra quelle sostenute o proposte dal segretario del Pd alla guida delle grandi città in cui si voterà a giugno.
Al candidato renziano al Campidoglio, il vice presidente ex o post-radicale della Camera Roberto Giachetti, potrà risultare ancora più utile del candidato berlusconiano Guido Bertolaso proprio la candidatura minacciata o propostasi da Storace, destinata in effetti a ridurre ulteriormente il potenziale bacino elettorale dell’ex capo della Protezione Civile messo in pista dal leader di Forza Italia.
Lo stesso discorso vale naturalmente per un eventuale candidato di disturbo o dispetto inventato, specie in caso di fallimento della verifica improvvisata nei gazebo del centrodestra a Roma per la fine di questa settimana su Bertolaso, dal segretario della Lega Matteo Salvini. Che si è peraltro avventurato a prospettare un voto a favore dei grillini nelle città in cui dovesse toccare al loro candidato il ballottaggio con il Pd.
Il ragionamento di Berlusconi su chi davvero dietro le quinte, o sotto il palco, stia o voglia lavorare a favore di Renzi o addirittura di Grillo non fa obiettivamente una grinza. Negarlo sarebbe disonesto.
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Eppure al Foglio fondato e tuttora ispirato da Giuliano Ferrara ma ora diretto da Claudio Cerasa, che ne imita anche il vezzo di alternare alla firma un simboletto, entrambi comunque accomunati da una buona frequentazione di Berlusconi ed amici e dichiaratamente nostalgici dell’”adorato patto del Nazareno” stretto più di due anni fa fra lo stesso Berlusconi e Renzi, sono convinti che ad avere una grandissima voglia di aiutare l’attuale presidente del Consiglio come “leader della Nazione”, intesa naturalmente come Italia e non come giornale, siano due berlusconiani doc come Fedele Confalonieri e Gianni Letta. Dei quali poco è mancato che Cerasa, in un articolo di prima pagina titolato in rosso “Renzi appeso al paradigma Confalonieri”, si lasciasse prendere dalla fantasia di vederli votare a giugno per i candidati di Renzi a sindaci, rispettivamente, di Milano e di Roma. Cosa che tuttavia costerebbe molta fatica all’uno e all’altro, notoriamente molto amici dei candidati di Berlusconi: Stefano Parisi all’ombra della Madonnina e Bertolaso all’ombra della statua equestre di Marco Aurelio, fortunatamente scampata all’occultamento di riguardo, per quei genitali enormi, in occasione della recente visita al Campidoglio del presidente dell’Iran Hassan Rouhani.
Al Foglio sono convinti che a mancare sia più che la voglia di Confalonieri e di Gianni Letta di votare Renzi alle prossime elezioni politiche, la volontà o possibilità del presidente del Consiglio di compiere il passo decisivo sulla strada, praticamente, della rottura irreparabile con quel che resta della vecchia sinistra nel sui Partito Democratico. Ma a quel punto forse la voglia di votarlo verrebbe allo stesso Berlusconi, pago di avere finalmente trovato il suo erede politico. Peccato che Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema e compagni non abbiano alcuna voglia di trarre tutte le conclusioni dal loro forte e crescente dissenso dal segretario del partito e presidente del Consiglio: “L’uomo del Mossad”, cioè del servizio segreto israeliano, come risulta da un giudizio attribuito a D’Alema il 7 marzo dal Corriere della Sera e rimasto tuttora senza uno straccio di smentita o di precisazione.