“La riunione di militari di oltre 30 paesi oggi a Roma non è l’annuncio della missione che sta per partire, è una delle tante iniziative di pianificazione”, ha dichiarato martedì il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni: “La condizione per poter tradurre la pianificazione in realtà è che ci sia un governo legittimo (in Libia ndr) che chieda l’assistenza all’Onu e alla comunità internazionale”. Martedì 15 marzo all’aeroporto romano di Centocelle, sede del Comando operativo di vertice interforze (COI), rappresentati militari di una trentina di paesi si sono riuniti per confrontare i piani strategici della missione, che secondo le indiscrezioni filtrate si chiamerà “Lybia international assistance mission” (Liam) e di cui pare che l’Italia sia capofila.
LA LUCE VERDE AL GOVERNO
La missione, che dovrebbe essere diretta da un comando mobile di proiezione come quello della Divisione “Acqui” (che ha anche compiti Nato), consisterà nel sostenere il governo libico in termini di training per le forze di sicurezza (polizia ed esercito) locali. Girano da tempi piani e numeri sulla missione, ma per il momento come ha sottolineato nuovamente il ministro Gentiloni tutto è appeso al futuro del governo di unità (Gna), che forse vedrà luce verde operativa nel fine settimana, e che per il momento si regge su una legittimazione esterna, ottenuta da Onu, Stati Uniti ed Europa, sulla base di un esecutivo emanato sabato 12 marzo non votato dai libici e forte soltanto di una dichiarazione di 100 membri del legittimato parlamento cirenaico (HoR), i quali avevano tempo fa espresso parere favorevole su una lista di nomi per l’esecutivo che però non è stata mai approvata definitivamente. L’Onu ha promosso l’insediamento del Gna a Tripoli in tempi brevissimi, ma dalla tripolitania hanno già fatto sapere che si tratta di un esecutivo imposto dall’esterno che non sarà mai accettato.
GLI INGLESI RALLENTANO?
Non c’è ancora alcun piano sull’invio di truppe in Libia, ha precisato il governo inglese nella mattinata di mercoledì 16 marzo. La precisazione s’è resa necessaria dopo un’interrogazione esposta dal presidente della Commissione esteri della Camera dei Comuni Crispin Blunt (il documento porta data 15 marzo) che di ritorno da una visita di stato in Nordafrica ha chiesto spiegazioni al ministro degli Esteri e a quello della Difesa su certe voci che gli erano state riferite durante il tour: Blunt dice che c’è già un atto di richiesta formale di intervento militare straniero pronto sui tavoli del futuro governo libico, che prevede l’ampliamento delle missioni di bombardamento contro lo Stato islamico anche alla Libia, e contemporaneamente l’invio di 1000 soldati inglesi, come parte di un contingente di oltre 6000 uomini di una forza internazionale non meglio definita. Questi avranno compiti di addestramento dei locali e protezione per l’insediamento del GNA (Government of National Accord) a Tripoli. I numeri riportati da Blunt sono gli stessi che circolano da mesi, e furono anticipati tempo fa dal Times: i termini del piano sono quelli noti da tempo.
L’ONU RINNOVA LA MISSIONE
Martedì 15 marzo l’Onu ha esteso per altri tre mesi (fino al 15 giugno) United Nations Support Mission in Libya (UNSMIL), la missione di supporto per la soluzione della crisi libica. UNISMIL è stata incaricata dal Consiglio di sicurezza nel 2011 per “garantire la transizione verso la democrazia, la promozione dello Stato di diritto, tutela dei diritti umani, il controllo delle armi e la costruzione di capacità di governance, a seguito della rivoluzione che ha rovesciato la dittatura di Muammar Gheddafi”. È stata la stessa UNISML in una dichiarazione uscita martedì a definire il GNA l’unico governo legittimo in Libia, nonostante la mancanza del voto favorevole del parlamento di Tobruk.
Il 9 marzo è stato pubblicato un lungo rapporto di 251 pagine redatto dal panel di esperti Onu sulla Libia che analizza tutte le criticità che attanagliano il paese: le preoccupazioni sono molte, e vanno dal traffico di armi di contrabbando (vendute da società operanti in stati stranieri), alla corruzione del sistema statale, fino alla presenza dello Stato islamico.
IL NUOVO VIDEO DELLO STATO ISLAMICO DALLE SPIAGGE LIBICHE
La Wilayath Tarabulus, ossia la provincia di Tripoli dello Stato islamico, ha diffuso un nuovo video in cui un militante minaccia ebrei, cristiani e apostati (ossia i musulmani che non si allineano con il Califfato, specialmente gli sciiti). “Vi attaccheremo nelle vostre case, con gli esplosivi e le autobomba”, dice un uomo che parla a volto scoperto da una spiaggia libica. L’uomo che fa da conduttore nel filmato è un combattente che secondo l’utente di Twitter misuratino @rawadfree1 si chiama Abd al Malik Al-Ansari, ed ha collegamenti con il gruppo combattente Ansar al Sharia a Sirte (il gruppo ha fatto da background per l’attecchimento dello Stato islamico). Nel video, che si intitola “Message to Benghazi”, due prigionieri in tuta arancione (la solita, quella che viene usata dagli Stati Uniti per vestire i detenuti dei campi di massima sicurezza perché fossero subito riconoscibili in caso di fuga) che secondo lo speaker erano soldati al servizio del governo di Tobruk, vengono giustiziati con un colpo alla testa: l’ultima parola del boia è “pentitevi”.
BENGASI: IL MESSAGGIO
A Bengasi i baghdadisti stanno combattendo contro gli uomini dell’esercito guidato da Khalifa Haftar, che da poco hanno riportato una serie di successi, sbloccando alcuni snodi in stallo da tempo, sembra anche grazie ad un team di forze speciali francesi di stanza in una base vicina, Benina (dove alcune segnalazioni dicono siano presenti anche commando americani).
Wilayah #Tarabulus video: Message to #Benghazi with two executed by gunshot. Then there’s the shopping cart. pic.twitter.com/5CaEnBXDLw
— TAPSTRI MEDIA (@TAPSTRIMEDIA) 14 marzo 2016
Il video, come spesso succede, arriva per stringere la morsa attorno ad una situazione difficile, dove le forze dello Stato islamico stanno perdendo, e cerca il sostegno di altre formazioni jihadiste tripolitane che hanno subito contemporaneamente l’avanzata delle forze di Tobruk, e sulle quali l’IS cerca di avere un qualche ascendente (per avere più forza politica e per avere più uomini a combattere).
L’ATTACCO ALLA CENTRALE DI AL SARIR
Martedì è finito sotto attacco l’impianto idroelettrico di al Sarir, che si trova a circa 80 chilometri dal vasto campo pozzi omonimo, a sud di Bengasi, verso il centro desertico del paese. L’impianto, costruito sotto il rais Gheddafi, è parte del Great Manmade River, un enorme progetto di irrigazione che sfrutta la risorsa idrica del Nubian Sandstone (bacino composto da rocce arenarie, che copre parte di Libia, Sudan, Ciad ed Egitto). Un kamikaze a bordo di un veicolo s’è fatto saltare in aria davanti uno dei cancelli d’ingresso della centrale, mentre soldati dell’esercito di Tobruk cercavano di fermarlo, successivamente (come da prassi) c’è stato l’attacco vero e proprio con razzi e sparatorie, respinto pure quello. Il piano dei baghdadisti per arrecare danno alle infrastrutture economiche continua, e la preoccupazione per l’attacco ad al Sarir è legata alla possibilità che i jihadisti arrivino fino al campo pozzi omonimo, che è il più grande della Libia. Le (spesso controverse) milizie della PFG che si occupano di monitorare i campi petroliferi e gasiferi in Libia hanno aumentato i controlli, con rinforzi e posti di blocco, soprattuto ad al Sidra, che si trova vicino a Ben Jawad, avamposto jihadista ad est della capitale Sirte.
Mustafa Sanalla, capo dell’azienda nazionale del petrolio (Noc) ha comunicato mercoledì che per ragioni tecniche, attualmente le quantità di greggio estratte sono di 295mila barili al giorno, in riduzione rispetto alle già ridotte estrazioni degli ultimi mesi: un problema economico per la Libia, che regge la propria economia sui proventi della vendita del petrolio, causato anche dalla presenza dello Stato islamico che attacca gli impianti e dai rallentamenti connessi alla minaccia.