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L’euro-passo di gambero su Montenegro e legalità

Complimenti per i progressi, ma quanto a legalità e concorrenza leale per gli investitori stranieri siamo ancora all’anno zero. L’Ue con queste parole sceglie “il passo del gambero” per raccomandare comportamenti e direttrici di marcia al Montenegro. Come se allestire una super procura anti crimine e qualche autorità anti corruzione fossero, da sole, le mosse certamente vincenti per ripristinare concorrenza e diritto in un tessuto dove vige ancora il controllo strettamente territoriale (e familiare) di affari e aziende, come il possibile coinvolgimento delle sorelle di Milo Djukanovic nella privatizzazione della società di telecomunicazioni locale.

Fino ad oggi ne hanno fatto le spese tre imprese, una cipriota, una olandese ed una italiana ma la novità sta nel fatto che, dopo anni di carte bollate, i tribunali internazionali stanno dando ragione ai privati e non al governo di Milo Djukanovic.  Ma andiamo con ordine. Nella risoluzione di pochi giorni fa, l’europarlamento alza il pollice relativamente ai costanti progressi compiuti nei negoziati di adesione con riferimento all’apertura di 22 capitoli negoziali. Ma, da un lato, sottolinea che i progressi nei negoziati devono essere accompagnati dalla rigorosa attuazione dei piani d’azione e delle strategie pertinenti; e dall’altro ribadisce che “l’avanzamento complessivo dei negoziati dipende dai progressi conseguiti nell’attuazione dello Stato di diritto e dai risultati tangibili ottenuti in tale ambito”.

Ecco il nervo scoperto: in primo piano c’è la profonda preoccupazione “per la polarizzazione del clima interno e per il boicottaggio delle attività parlamentari ad opera di una parte dell‘opposizione“; ovvero la crisi politica che si sta facendo in queste più intensa, accanto ai preoccupanti episodi di violenza che si sono verificati durante le proteste. E in secondo luogo l’Ue gioca il carico del diritto internazionale, con la macro questione degli aiuti di Stato che “continua a destare preoccupazione, in particolare per quanto concerne l’indipendenza della commissione per il controllo degli aiuti di Stato e dell’unità per il controllo degli aiuti di Stato”.

Il riferimento è alla truffa per la fabbrica di alluminio KAP la cui procedura di fallimento continua a tardare violando gli obblighi di Podgorica nell’ambito dell’accordo di stabilizzazione e associazione (ASA). Bruxelles per questo chiede al governo montenegrino una soluzione “sostenibile e negoziata per la procedura di fallimento” nel rispetto delle norme sugli aiuti di Stato e dell’ASA, in base al principio di trasparenza e dello Stato di diritto.

Il passaggio successivo dovrebbe essere, quindi, quello di un audit completo e indipendente dei conti della KAP, dalla sua acquisizione da parte della cipriota CEAC nel 2005 fino ad oggi, approfondendo gli aspetti che la Ceac stessa ha sollevato dinanzi ad un tribunale internazionale che nella prima pronuncia di tre mesi fa le ha dato ragione. I fatti sono noti: la Ceac ha investito sin dal 2004 nella fonderia montenegrina Kap, ma durante il processo di privatizzazione la Kap è stata chiusa, con il governo che secondo le accuse avrebbe falsificato il bilancio prima della vendita nascondendo i suoi debiti. Nel 2007 la Ceac ha avviato un procedimento arbitrale nei confronti del governo montenegrino davanti ad un tribunale di Francoforte ma due anni dopo l’azienda ha firmato un accordo amichevole in cambio del nulla osta del governo ad un piano di ristrutturazione. Ma nel 2013 il colpo di scena: Podgorica avvia la procedura fallimentare contro la fonderia che è stata dichiarata fallita e messa in vendita. A chi? Ad una società, sostiene la Ceac, vicina alla famiglia Djukanovic con un passato legato al contrabbando milionario si sigarette.

Oggi anche il Parlamento europeo esprime il suo appoggio alla compagnia Ceac nella sua lotta contro il Montenegro e lo stesso europarlamento chiede a Djukanovic di risolvere la situazione scottante con la Kap ed organizzare il controllo finanziario indipendente della stessa fabbrica. La domanda però è sempre la stessa: con questa infrastruttura statale di palese danno agli investitori internazionali, il Montenegro come può aspirare ad entrare nell’Ue e nella Nato?

twitter@FDepalo



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