Curiosi questi politici al potere, curiosi questi media colti che li supportano. Dopo il flop del «Partito della Nazione» (Cdu + Spd) anziché prendersela con il duo Merkel-Gabriel per come hanno affrontato i problemi dell’immigrazione, criticano gli elettori tedeschi che non li hanno votati, con la solita accusa: populista, xenofobo, fascista. Ricordate il Bertold Brecht del ’53? La polizia comunista sparava sugli operai di Berlino Est e lui sosteneva «meglio cambiare il popolo piuttosto del Regime». Dopo 60 anni, nulla di nuovo a Berlino?
Che cosa è la storia dell’umanità se non una storia di migrazioni? Non erano forse nomadi i nostri antenati? Non lo dicono pure i testi biblici? Certo, le invasioni barbariche hanno fatto cadere l’Impero Romano, ma furono gli stessi romani a suicidarsi con il loro stile di vita (su questo concordo, il Terzo Secolo era molto simile a questo).
E gli stessi Stati Uniti, dicono, che altro sono se non un contenitore di emigranti di decine e decine di milioni di fuggiaschi europei? Il tutto condito da giudizi feroci contro noi cittadini comuni di essere dei meschini antistorici, degli egoisti, immersi in un brodo di coltura di squallida insipienza.
Poi ci ricordano che i nostri nonni e bisnonni furono accolti a braccia aperte dall’America. Vero, ma mi permetto una piccola notazione famigliare: in effetti, due prozii, i più giovani e forti, all’inizio del ‘900 raggiunsero Ny in piroscafo, pagando solo l’andata, era però obbligatorio avere i quattrini per il biglietto di ritorno, se scartati alla visita medica. E che visita medica! Protocollo mutuato dai mercanti di schiavi di 200 anni prima.
Sono rimasto sconvolto dal vedere questi disperati mentre attraversano il fiume Suva Reka tra la Grecia e la Macedonia, sono vecchi, donne, bambini, pochi gli uomini. Si aggrappano a una fune stesa fra le due sponde per non affogare. Da vergognarci. Se sono siriani, devono essere accolti, tutti. Devono essere ripartiti d’imperio fra i 28. Punto. I siriani in fuga dalla guerra non sono un problema, lo sono gli immigrati economici. I colti ci dicono: siamo ricchi (sì, di patrimonio, ma non di lavoro), non ci riproduciamo più (vero, il sesso lo pratichiamo solo in modi strani, e pure per le nascite usiamo curiose App in outsourcing), pare si abbia bisogno di nuovi lavoratori (certo, ma non ci servono le loro braccia). Le nostre élite ci dicono che fra 20 anni il 40% degli attuali posti di lavoro scompariranno e non verranno sostituiti. Eppure accettiamo, come nulla fosse, che il 40% dei nostri giovani (uno su due, sic!) siano disoccupati, nessuno si chiede cosa facciano durante il giorno, che futuro avranno. Stiamo creando, in silenzio, una generazione di potenziali barboni, ma nessuno ne parla.
E poi, è giusto fingere di dimenticare i paesi da cui provengono, in genere dittatoriali, spesso criminali? Così come la diversa cultura? Ai loro crimini nelle nostre città come rispondiamo? Cantando la marsigliese a squarciagola nei funerali, con fiumi di parole vuote, eccitando la singole emotività, curiosi ideali multiculturali, nell’alveo di un paradigma basato, fino a poche settimane fa, sulla massima tolleranza verso i migranti economici. Per poi trasferire tutti i problemi, grazie al losco Trattato di Dublino, ai paesi del sud (Italia e Grecia).
Appena i migranti hanno individuato la nuova via «balcanica», che li conduceva direttamente nella Germania di Merkel-Gabriel e nella Svezia di Löfven, tutte le promesse, vendute da costoro in tv, con la tipica supponenza dei finti statisti, e dopo lo choc di Colonia, sono subito rientrate: filo spinato, muri, polizia in assetto di guerra, chiusura delle frontiere. Le elezioni in Germania lo hanno certificato: la volontà popolare tedesca va in tutt’altra direzione, Merkel e Gabriel hanno fallito. Eppure persistono. Ha ragione Renzi, è idiota riunirsi così spesso, e poi per fare cosa? Baciarsi all’arrivo, chiacchiere senza freni, ridicoli comunicati stampa, sgattaiolare per correre, a sirene spiegate, verso l’aeroporto.
Allora, perché non resettare il passato? Perché non fermarsi a riflettere? Non c’è dubbio che ci voglia un nuovo paradigma. Quale?
(Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)