Dopo una fase stallo, con la discesa in campo del governo di Matteo Renzi, sono ripresi di slancio i preparativi per le nozze tra il Banco Popolare e la Popolare di Milano (Bpm).
Il giorno cruciale per l’integrazione è martedì 22 marzo, quando cioè si riuniranno i consigli di amministrazione dei due istituti di credito per emettere il verdetto sull’operazione e cercare così di andare incontro alle richieste della Banca centrale europea (Bce).
LE RICHIESTE DELLE BCE
Da ricordare che, a un certo punto, la settimana scorsa la fusione era apparsa compromessa proprio dalla missiva giunta da Francoforte in cui l’autorità di vigilanza formulava tutta una serie di richieste. I nodi apparivano fondamentalmente due: la governance e i crediti deteriorati, con quest’ultimo che rappresenta uno dei grandi punti deboli della banca veronese guidata da Pier Francesco Saviotti. La Bce ha, inoltre, domandato che dal matrimonio nasca una realtà con “una forte posizione in termini di capitale” e di avere “entro un mese” un piano industriale pluriennale sull’operazione nonché “una bozza dello statuto della società risultante dalla potenziale operazione di fusione”.
Le due Popolari italiane, la scorsa settimana, erano invece parse piuttosto scettiche a seguire i dettami della Bce. A non piacere la richiesta di una governance snella giacché normalmente quando ci sono di mezzo fusioni e integrazioni i protagonisti preferiscono avere a disposizione più poltrone per meglio distribuirsele, ma anche il fatto che si prospettasse all’orizzonte un aumento di capitale. Da qui lo stallo, poi sbloccato dall’intervento del governo Renzi.
L’ASSEMBLEA DEL BANCO
A esplicitare la posizione del Banco è stato proprio l’ad Saviotti in occasione dell’assemblea dei soci che sabato 19 marzo ha approvato il bilancio del 2015. “Se son rose fioriranno”, ha detto Saviotti a proposito dell’integrazione prima di aggiungere: “E mi auguro che la fioritura arrivi in tempi ragionevolmente brevi: siamo entrati nell’ordine di idee di avere una più robusta propensione ad accogliere le richieste della Bce”. E, come detto, a contribuire a questo nuovo clima di fiducia rispetto all’operazione è stata senz’altro la nota di venerdì sera con cui il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, apertamente sostenuto dal premier Matteo Renzi, ha auspicato il successo della fusione. Non è un caso che proprio sabato l’ad del Banco abbia aperto alla possibilità di un nuovo aumento di capitale: “Non sono in grado di escluderlo al 100 per cento”.
Ciononostante, la strada per arrivare al traguardo è ancora lunga. “Il progetto di aggregazione che stiamo vivendo con Bpm – ha dichiarato Saviotti – ha grandi difficoltà, non è ancora riuscito a decollare per qualche ostacolo Bce, il cui approccio non è facilmente comprensibile”.
LA PAROLA AGLI ANALISTI
In Borsa, il lunedì è ripreso all’insegna degli acquisti sulle azioni delle due Popolari, che invece nei giorni precedenti, quando la fusione era finita in stallo, erano state prese di mira dalle vendite. I ribassi avevano riguardato soprattutto il Banco, che a livello di crediti problematici (npl, non performing loan) appare messa decisamente peggio che la Bpm. Da ricordare che le esposizioni nette deteriorate (sofferenze, inadempienze probabili ed esposizioni scadute e/o sconfinate) del Banco ammontavano al 31 dicembre 2015 a 14,1 miliardi, in calo di 0,2 miliardi rispetto al dato del 31 dicembre 2014.
Secondo gli analisti di Equita Sim, a questo punto, “il punto interrogativo riguarda l’entità delle capital action, che probabilmente riguardano solo B. Popolare. I rumor parlano di un piano da 1/1,5 miliardi, che secondo noi permetterebbe di ridurre lo stock di non performing loan di 7 miliardi. Escluse la cessione del 39% di Agos (+600 milioni), Banca Aletti (+150 milioni), mentre sarebbe allo studio la vendita di quote nelle jv bancassurance (+300 milioni secondo noi) e la banca depositaria (+150 milioni)”.