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Addio Bersani (e Fassina), vado con Monti

Ecco il post che questa mattina Pietro Ichino, giuslavorista e senatore del Pd, ha pubblicato su www.pietroichino.it

Cari amici,
in un altro post ho pubblicato, tre giorni fa, una cronaca di quest’ultima mia tormentatissima settimana, fino al punto della mia decisione di ritirare la candidatura per le primarie dei candidati del Pd.

Ho compiuto questo passo per una ragione molto semplice: non avrei potuto invitare serenamente gli elettori a votare Pd, nascondendo o minimizzando l’ambiguità di fondo che caratterizza la posizione dello stesso partito sul terreno della strategia europea. Nascondere o minimizzare è cosa lecita, in una campagna elettorale, su aspetti secondari; non su di una questione cruciale, di importanza vitale per il Paese, come questa della nostra linea di comportamento riguardo agli impegni assunti in Europa.

In molti mi hanno sollecitato a mantenere nonostante tutto la candidatura nel Pd, ricordandomi che così si deve fare in un grande partito moderno e in un sistema bipolare: “Ora sei in minoranza, ma quando i fatti ti avranno dato ragione diventerai maggioranza”. Conosco bene questo discorso, per averlo praticato, con alterne vicende, lungo quarant’anni di lavoro politico in seno alla sinistra. Senonché questo discorso vale in una situazione ordinaria, nella quale si può contare su qualche anno di tempo per le proprie battaglie politiche e la posta in gioco è di ordinaria amministrazione o poco più; lo stesso discorso non può valere in una situazione di emergenza grave, nella quale se i fatti ti danno ragione il Paese rischia di rompersi l’osso del collo. Oggi la posta in gioco è questa. E in questa situazione l’ambiguità sulla questione cruciale non è consentita.

Mi spingo a dire che sarebbe meglio, per il Paese, scegliere con decisione la via opposta rispetto alla strategia europea disegnata e avviata da Mario Monti, piuttosto che alternare o mescolare opzioni nell’una e nell’altra direzione per difetto di chiarezza della strategia perseguita.

In seguito alla scelta di ritirare la mia candidatura alle primarie dei candidati del Pd, mi è stato proposto di assumere la guida della lista “per l’Agenda Monti” per l’elezione del Senato in Lombardia: una lista in cui si esprimerà – qui come in tutte le altre regioni italiane – quella larga parte della società civile che rifiuta il populismo sostanzialmente antieuropeo di Berlusconi e della Lega, ma al tempo stesso è preoccupata dall’ambiguità della posizione del Pd.
Mi consente, e in certa misura impone, il compimento di questo passo una concezione laica dell’impegno politico: l’adesione a un partito non può  mai diventare una sorta di atto di fede vincolante qualsiasi cosa accada. Esiste un limite oltre il quale l’adesione stessa, se in contrasto con la linea d’azione che si considera la migliore, può diventare una forma di doppiezza politica inaccettabile.

Decisiva per il compimento di questo passo è stata poi la constatazione della straordinaria consonanza di molti passaggi del memorandum proposto da Mario Monti con idee e proposte sul lavoro, il welfare, le amministrazioni pubbliche, la scuola, ben conosciute dai frequentatori di questo sito; e credo che pure gran parte di quel 40 per cento dei partecipanti alle primarie che hanno votato per Renzi ci si riconoscerà facilmente.

Qualcuno mi obietterà che, al voto per le primarie di novembre, abbiamo accettato di firmare la Carta d’Intenti fondativa della coalizione del centrosinistra, alla quale ora dovremmo ritenerci vincolati. Quella Carta, però, era viziata anch’essa da un’ambiguità di fondo: era nata come professione di fedeltà agli impegni europei assunti dall’Italia, ma il giorno dopo la chiusura delle urne abbiamo sentito Nichi Vendola affermare che laCarta stessa è “la pietra tombale” su quegli impegni.

Vi pare un equivoco da poco? Un testo politico che si presta a due letture tra loro opposte non può essere vincolante né in un senso né nell’altro (per questo è espressione di cattiva politica, e come tale lo abbiamo denunciato fin dall’inizio). Proprio l’ambiguità di quel documento è all’origine dell’ambiguità che affligge oggi la coalizione di centrosinistra guidata da Pierluigi Bersani.

La speranza è che la scelta che compio oggi possa contribuire, oltre che alla costruzione di una formazione politica capace di dare solide gambe e braccia all’Agenda Monti, anche a innescare nel Pd il chiarimento finora mancato.  E che il chiarimento stesso porti a una coalizione tra lo stesso Pd e la nuova formazione che nascerà da queste elezioni, per dar vita a un governo stabile e determinato nel perseguimento della strategia europea dell’Italia. Meglio se ciò accadrà prima delle elezioni, piuttosto che dopo: gli elettori hanno diritto di sapere con precisione per che cosa votano.



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