In attesa, e nella speranza, una volta tanto in sintonia con Eugenio Scalfari, di vedere naufragare il referendum contro le trivelle “in un’astensione di massa”, come ha auspicato il fondatore della Repubblica di carta già domenica 3 aprile, ben prima che il suo amico e presidente emerito della Repubblica vera, Giorgio Napolitano, intervenisse per difendere la legittimità, appunto, dell’astensione appena contestata invece dal presidente della Corte Costituzionale Paolo Grossi, consentitemi di scandalizzare i presunti benpensanti anche su un altro tornante del dibattito politico. Che è quello dell’onestà reclamata a gran voce dal popolo pentastellato radunatosi attorno a Beppe Grillo per i funerali milanesi di Gianroberto Casaleggio.
Di questi funerali peraltro, proprio per i modi e gli slogan voluti dagli amici e sostenitori del defunto co-fondatore del Movimento 5 Stelle, si è già cercato di abusare in certe rappresentazioni mediatiche per fare di Milano il luogo, se non di nascita, di consolidamento del fenomeno del grillismo, come nel secolo scorso del fascismo, del leghiamo e infine – come negarlo ?- anche del craxismo nella versione criticata o demonizzata dai suoi critici o avversari. Fra i quali non vorrei però essere confuso, perché rimango convinto che i meriti del mio amico Bettino furono di gran lunga superiori agli errori. Che purtroppo non mancarono e facilitarono gli avversari ben più di quanto essi meritassero politicamente e umanamente.
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All’onestà rivendicata dai grillini con lo stesso orgoglio che usava la buonanima di Enrico Berlinguer per esaltare la “diversità ” del suo partito rispetto a tutti gli altri, destinati all’inferno se il segretario comunista fosse stato un credente e avesse disposto delle chiavi per rinchiudervi già da vivi gli avversari intesi come corrotti o comunque moralmente inferiori, continuo a preferire la cultura, il realismo, la saggezza di Benedetto Croce. Si, proprio lui: il filosofo, lo storico, il campione del liberalismo, il costituente, il ministro della Pubblica Istruzione già ai tempi di Giovanni Giolitti, progenitore politico, secondo Scalfari, del nostro Matteo Renzi.
Ai libri di cotanto autore si sono formate, prima ancora del presidente del Consiglio in carica, un bel po’ di generazioni di studenti, non tutti memori purtroppo dei suoi insegnamenti e moniti, dettati più dalla forza delle idee e dalla conoscenza della storia che dalla voglia di piacere, dalla demagogia, o populismo, come si preferisce chiamarlo adesso. Egli odiava giustamente grattare la pancia agli ipocriti e ai conformisti, come ai gatti.
Croce considerava perciò il “governo degli onesti”, rivendicato anche ai suoi tempi, ben prima quindi dei grillini, di Berlinguer, del repubblicano Bruno Visentini e di altri ancora, “una utopia per imbecilli”.
“Un’altra manifestazione della volgare intelligenza circa le cose della politica – scrisse il filosofo abruzzese – è la petulante richiesta che si fa dell’onestà nella vita politica”, cui servono invece, prima ancora dell’onestà, appunto, la competenza, l’efficienza, la consapevolezza, la capacità di decidere.
Di Croce, anche a costo di farne bruciare i libri dai grillini nelle piazze, una volta che dovessero veramente e disgraziatamente riuscire a vincere le elezioni e a governare questo sfortunato Paese, vorrei ricordare anche queste parole: “Tutt’al più, qualche volta episodicamente la storia ha per breve tempo fatto salire al potere o ha messo a capo degli Stati uomini da tutti amati e venerati per la loro probità e candidezza e impegno scientifico e dottrina. Ma subito poi li ha rovesciati, aggiungendo alle loro alte qualifiche quella, non so se del pari alta, di inettitudine”.
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Colgo l’occasione per ricordare a qualche inquirente malintenzionato, di quelli magari che si riconoscono pienamente nelle parole, nei gesti e nelle sarcastiche risposte del nuovo presidente dell’associazione nazionale dei magistrati, Piercamillo Davigo, a chi cerca di contrastarne le opinioni o interpretazioni delle leggi, persino – com’è accaduto qualche sera fa nel salotto televisivo di Lilli Gruber – al paziente e sornione Paolo Mieli, che Benedetto Croce è morto, per sua fortuna, il 20 novembre 1952, a Napoli. Sarebbe pertanto inutile cercare di notificargli qualche avviso di garanzia, o atto equipollente, o qualcosa di peggio, né al suo ultimo recapito partenopeo né nella natia Pescasseroli.
È proprio morto, il grandissimo Croce. Neppure prescritto nei suoi possibili e innovativi reati, come l’attualissimo traffico d’influenze. E Dio solo sa quanta influenza, appunto, egli ebbe in vita su chi lo frequentava o studiava. E ne abbia ancora, da morto, su chi ne legge i libri. E ne leggerà fino a quando, ripeto, un governo grillino non li farà bruciare e precluderne l’accesso per internet, senza bisogno di rompere i computer, come Grillo per un po’ aveva preso l’abitudine di fare in teatro per divertire il suo pubblico, sino a quando Casaleggio genialmente, come al solito, non accorse nel suo camerino e non lo convinse a rinunciarvi per rimanere al passo col futuro.