I flussi migratori verso l’Italia continuano e aumentano di giorno in giorno. Nessuna azione sulla causa internazionale, nessuna risoluzione degli effetti nazionali. Questa la morale.
Il governo non nasconde le sue difficoltà, accresciute dopo la presa di posizione molto radicale dell’Austria di chiudere le frontiere sul Brennero.
È probabilmente il definitivo passaggio verso la dissoluzione di quell’Europa che abbiamo conosciuto dopo i Trattati di Roma, nonché l’aborto definitivo di quella politica continentale tanto promessa e mai venuta alla luce. Ormai non è neanche più necessario per molti Paesi minacciare l’uscita dall’Euro o attendere l’esito referendario sulla Brexit: singoli Stati ergono muri, si isolano, rompono Schengen, senza badare al resto.
La nostra posizione è molto delicata e molto difficile. Non apparteniamo come popolo alla cultura dei recinti e abbiamo dei confini terracquei che non permettono chiusure blindate. Roma ha rilanciato la cooperazione per affrontare la crisi, in una lettera di Matteo Renzi alla Commissione e al Consiglio europeo, ma le parole rassicuranti di Donald Tusk favorevoli ad un ‘patto sull’immigrazione’ sono astratte e si scontrano con la dura realtà. E tutto finisce nel caos.
Si nota una contraddizione radicale, in fin dei conti, fra tre prospettive: quella europea che punta a gestire insieme il problema di ciascuna nazione; quella dei singoli Stati che tendono tendono a chiudersi in se stessi; la linea morale del Papa favorevole all’accoglienza misericordiosa.
Ragionamenti a parte, resta il grande nodo politico. Una prima considerazione concreta deve tener presente che non esiste soluzione univoca. Non si possono fare i respingimenti in mare facendo morire la gente. Non si possono accogliere migliaia di profughi con l’incubo di diventare un catino dove si riversa l’acqua sporca del mondo fino a farla traboccare sulle nostre vite.
L’Italia non sta subendo un’invasione, ma ha il dovere di gestire in modo forte questa situazione, intanto cominciando a non confondere le prospettive. Accogliere è una cosa. Subire i flussi migratori un’altra.
Non si tratta, insomma, di fare discorsi retorici e solidaristici, perché la politica non è la religione. È doveroso invece ritenere che, se dobbiamo ospitare queste persone, sono necessarie risorse sufficienti per controllarle, e autorità sufficiente per farlo. Nessun governo può mettere a rischio la coesione sociale. Il problema è mal posto perciò se guarda esclusivamente alle regole europee e spiritualizza il dramma. Noi dobbiamo categoricamente far valere le leggi italiane sugli arrivi. E se queste non ci sono, dobbiamo darcele, punto e basta.
Diciamo la verità: nessun Paese del mondo è in grado oggi di guardare oltre la sua parte e mettere il naso fuori dai suoi confini. Senza arrivare a isolarsi, è chiaro che la prospettiva di uno Stato deve concentrasi praticamente sul proprio interesse, posto che riesca a farlo, non attendendo la manna dal cielo. Lo fa la Francia con l’Egitto, lo fa la Germania con Erdogan, deve farlo l’Italia con la Libia.
Il Papa ha ragione perfettamente a parlare di misericordia e di apertura. Ma egli non ha una responsabilità nazionale di governo. Se lo facesse sbaglierebbe. L’Europa ha torto a pensare, d’altronde, che la parola cooperazione convinca Vienna. Le parole sagge di Federica Mogherini vanno bene per una conferenza universitaria ma sono inadeguate in un complesso gestionale che esige decisioni democratiche coraggiose e non sentimentalismi globali.
Gli italiani stanno riflettendo, non soltanto perché si avvicinano le amministrative. Stanno meditando sulla debolezza di una politica senza forza e risolutezza nel concentrarsi sulle sue cose, sul suo territorio, sulle esigenze specifiche dei suoi cittadini. Ci siamo abituati per troppo tempo a delegare all’Europa, e ora non ci ricordiamo più la durezza che richiede la gestione di uno Stato democratico.
Se non mostriamo decisione e cinismo, non saremo in condizione di avere più credibilità per praticare la solidarietà e testimoniare la sensibilità cristiana che ci contraddistingue come popolo.
Misericordia, dice Papa Francesco nella Evangelii Gaudium, citando San Tommaso. Bene, ma misericordia vuol dire appunto ‘elevare il prossimo dalla sua sofferenza’. Senza freni, senza frontiere, senza governance del territorio, noi non solleviamo i migranti ad una condizione di vita migliore, ma abbassiamo gli italiani ad una peggiore.
Ognuno ha i doveri del proprio Stato e risponde innanzitutto del proprio ruolo, ricorda il Catechismo. I tempi sono cambiati. Anche il governo cambi rotta, affermi con ferma e prudente lucidità la priorità politica di tutelare gli italiani, altrimenti presto scivoleremo nel baratro. E non ci sarà maggioranza in grado di guidare il Paese. Sicuramente non questa e non un’altra imposta da Bruxelles.