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Parliamo dell’idrogeno come fonte di energia?

L’iniziativa di Formiche di aprire un forum sull’idrogeno come fonte di energia e sullo stato della ricerca in Italia è da salutare con estremo interesse. In questo modo si vuole delineare lo stato dell’arte a pochi mesi dalla scadenza del 18 novembre prossimo, entro il quale la direttiva 2014/94/Ue (la Dafi) dà mandato di adottare un Quadro strategico nazionale (Qsn) per lo sviluppo del mercato dei combustibili alternativi e della realizzazione della necessaria rete. L’obiettivo della de carbonizzazione e, quindi, della riduzione dei combustibili fossili richiede un’idea di mobilità diversa e l’attenzione al consolidamento e allo sviluppo della ricerca in diversi campi che possano offrire un’alternativa.

La sfida per l’Italia è riuscire ad agganciare le quote di finanziamento europeo legate alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento e alla predisposizione di infrastrutture. Le risorse a disposizione sono un’importante occasione per costruire stazioni di rifornimento che leghino l’Italia ai corridoi di trasporto transfrontaliero, sia in direzione nord-sud sia est-ovest. Da questo punto di vista è essenziale modificare la normativa sulla sicurezza dei depositi, adeguando i limiti di pressione ammessi in condizioni di sicurezza. La perdurante fase di calo dei prezzi del petrolio è insidiosa, perché sembra rendere meno stringente la prospettiva di cambiamento dal punto di vista dei costi economici, ma ripresenta nella sua drammaticità il problema delle esternalità negative. Quanto valgono quelle morti? Quanto valgono quelle alluvioni? Emergerà mai il rimorso comune per quello che non può più essere tollerato?

La tecnologia dietro al combustibile a idrogeno è estremamente affascinante, anche nelle polemiche che suscita: il mantra relativo ai costi e alla sua competitività va in parallelo con lo sminuire l’importanza di tutte le tecnologie di energia alternativa. L’incertezza sul successo di idee nuove è alla base dello spirito di rischio imprenditoriale e, in questo senso, gli effetti positivi della spinta dello Stato nel finanziare la ricerca sono ben documentati. Certo, va prestata attenzione alla suzione di fondi pubblici in white elephants, ma nel documentare la ricerca pubblica che ha prodotto tecnologie avanzate, qui è d’obbligo la menzione del libro di Mazzucato, “Lo Stato innovatore”: dalla green economy alle telecomunicazioni, alle nanotecnologie, alla farmaceutica, lo Stato che si propone come soggetto che assume quel rischio iniziale, può porre in essere percorsi virtuosi di trasferimento di tecnologie e di creazione di un ambiente favorevole alla nascita di imprenditorialità privata.

Ruolo attivo sull’idrogeno, dunque, per lo Stato? A questo stadio è difficile dire quali siano le probabilità di successo e di diffusione su larga scala del combustibile a idrogeno. Per ora si tratta di non passare sull’opportunità posta dalla Dafi. È necessaria una riflessione che ci permetta di comprendere a pieno le potenzialità di questa fonte, rimuovere gli ostacoli tecnici (la pressione di stoccaggio), iniziare una rete di punti di distribuzione di combustibili alternativi, mettere a sistema un insieme di esperienze diffuse sul territorio nazionale, dal partenariato pubblico-privato di Bolzano (emozionante prendere un bus blu H2), ai poli di Porto Marghera, di Monopoli e di Fusina, ai centri di ricerca Cnr e le tante università (menziono solo Jannelli di UniParthenope per la mia nota simpatia per la bicicletta, la sua a batterie all’idrogeno), alle tante aziende private. Una rete di eccellenze in Italia da portare a giocare agli europei. Chi sostiene una fonte alternativa rischia di vedere con fastidio l’attenzione rivolta alle altre. Facciamo chiarezza: questo non è un gioco a somma zero, e in ogni caso vanno prese con cautela le previsioni sull’evoluzione della tecnologia. Si ricordino frasi celebri sul pessimismo circa la diffusione dei computer (in epoche diverse, sia mainframe sia personal), a quello sulla vita massima di sei mesi attribuita alla televisione, dall’ottimismo sulla diffusione di aspirapolvere a energia nucleare, ai vaticini sulla morte di Internet: gli esempi di opacità della sfera di cristallo sono abbondanti. Atteggiamento questo che deve in ogni caso fare i conti con la viscosità della propensione all’adozione di innovazione che è propria di una certa mentalità backward looking. Per rimanere all’uso di energia in ambito urbano, un esempio gustoso è la resistenza da parte dei lampionai a gas che rallentò di almeno dieci anni l’introduzione dell’illuminazione elettrica a Firenze alla fine dell’800. Innovazione è innanzitutto circolazione delle idee senza chiacchiere da bar o tifo da stadio.

La sfida è epocale e ci spinge a ripensare in gran parte i nostri stili di vita. La mobilità sia essa di persone sia di merci è solo parte della nostra concezione di utilizzo e di condivisione degli spazi. I nostri centri urbani risentono di scelte che sono sembrate smart al momento di scegliere modelli, ma che stanno esigendo un tributo eccessivo alla qualità della vita. Gli obiettivi di medio-lungo periodo vanno perseguiti anche in senso di comunicazione, oggi, sul fatto che il traffico siamo noi, che un’auto privata lasciata a casa fa massa critica e genera l’evidenza che le abitudini possano essere cambiate. Il movimento verso il potenziamento del trasporto pubblico, gli incentivi alla multi modalità e quelli per le forme di condivisione di spostamenti (il car pooling) richiedono uno sforzo collettivo in cui l’innovazione sia veramente cooperativa. Cogliere tendenze alla condivisione, all’abbandono progressivo del concetto di auto di proprietà (almeno la seconda), richiede uno sforzo di cambiamento culturale che diventa complementare all’innovazione. Questo coinvolge anche ciò che le aziende private possono fare per rendere maggiormente consapevoli i propri dipendenti di una responsabilità nel costruire una comunità, educando a – e incentivando – mobilità diverse.

Giampiero Gallo

docente di Econometria presso l’Università di Firenze e consigliere economico di Matteo Renzi


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