“A sprawl of brutality”, un’espansione disordinata di brutalità. E’ così che il New York Times ha definito l’eredità di Pier Paolo Pasolini, che sarà celebrata fino al 5 gennaio in una retrospettiva al Museum of Modern Art di New York, la più completa mostra dedicata al regista e intellettuale italiano negli ultimi venti anni negli Stati Uniti (la prima prima fu negli anni Novanta, sempre al Moma).
Ripercorrendo i titoli dei suoi più importanti lavori cinematografici, Dennis Lim, autore dell’articolo, sottolinea il carattere “indecifrabile, ambiguo e sospeso” della personalità di Pasolini. “Un cattolico non praticante che non perse mai la sua visione religiosa del mondo e un marxista a vita, espulso dal partito comunista perché gay – scrive Lim – un artista e un pensatore che non ha cercato di risolvere le sue contraddizioni, ma di incarnarle pienamente”.
Oltre a ricordare i più significativi film di Pasolini, con una particolare attenzione per “Salò, o le 120 giornate di Sodoma”, definito “il brutale adattamento del catalogo di degradazione e tortura del Marchese de Sade”, Lim ne sottolinea la poliedrica carriera, ricordando i suoi scritti e i suoi disegni, rispettivamente recitati ed esposti a New York in occasione della retrospettiva.
Tentando di delineare l’eredità di Pasolini, il New York Times cita i registi, come Gus Van Sant e Abel Ferrara, per i quali “ha aperto la strada”, e artisti, come Alfredo Jaar e Elisabetta Benassi, che hanno realizzato lavori ispirati alla “potenza delle sue idee e al mistero della sua morte”. È proprio attraverso l”orripilante fine” di Pasolini, assassinato trucemente nei pressi di Ostia, vicino a Roma, che si guarda “alla sua straordinaria vita e opera”.