Dalla cultura ci si guadagna non solo intellettualmente ma anche economicamente. E’ uno dei temi emersi nel corso dell’incontro “Art bonus e imprese: Il Rinascimento del Terzo Millennio” organizzato dalla società di public affairs, Interest, e l’associazione La Scossa, martedì 26 aprile, nella cornice di Palazzo Costaguti a Roma.
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OBIETTIVI E RISULTATI
“L’Art Bonus – come ha spiegato Carolina Botti, direttore centrale di Ales S.p.A, società in house del Ministero dei Beni culturali – prevede un credito d’imposta del 65% indirizzato a tutti i soggetti, persone giuridiche o fisiche, che investono in manutenzione e restauro del patrimonio pubblico”. Ma l’arte deve essere intesa in senso lato “perché – ha proseguito Botti – esempi come libri e pc per biblioteche, digitalizzazione di bed and breakfast o musei, rientrano nella detrazione prevista dall’Art Bonus”. E dopo il primo anno di rodaggio, “si dice che il 2016 sia l’anno del boom dell’Art Bonus – ha dichiarato Francesco Delzìo, direttore relazioni esterne di Atlantia e Autostrade per l’Italia – nel quale si affermerà un vero ruolo sociale delle imprese, sempre più glocal”. Da grandi mecenati privati a piccole imprese, da famosi brand a privati cittadini: i finanziamenti alla cultura possono provenire da tutti. “Mi piace sempre ricordare l’esempio di un operaio del ferrarese che ha deciso di finanziare con 2.000 euro il restauro di una statua nella chiesa che frequentava ogni domenica. Art Bonus vuol dire anche questo”, ha aggiunto Delzìo.
GLI ESEMPI VIRTUOSI
Questi alcuni esempi di grandi restauri portati avanti grazie all’Art Bonus: l’Arena di Verona con i contributi dell’Unicredit, il Colosseo con i finanziamenti del Gruppo Tod’s, la Fontana di Trevi con l’intervento di Fendi, la Scalinata di Piazza di Spagna grazie alla maison Bulgari e il Ponte di Rialto attraverso l’impresa d’abbigliamento firmata Renzo Rosso.
(BERETTA, BOTTI, DELZIO E SUIGO PARLANO DI ART BONUS E IMPRESE. LE FOTO)
ALCUNE LACUNE
Se è vero che il credito d’imposta previsto dal decreto cultura Franceschini incoraggia gli investimenti nel patrimonio italiano, dall’altra presenta problemi, soprattutto per le grandi imprese: “Si favorisce il mecenatismo ma non progetti di marketing a larghe vedute – ha chiosato Delzìo –. Se le aziende vogliono fare un progetto di valorizzazione più ampio, per esempio di marketing, di promozione, di ticketing, si incontrano resistenze, soprattutto di alcune soprintendenze italiane”.
SFIDE E TIMORI
“Seppure l’Art Bonus sia una vera e propria scossa – ha detto Michelangelo Suigo, presidente dell’associazione La Scossa – c’è un calo di interesse nella cultura. Siamo sì il Paese con più di 5000 musei, con il maggior numero di siti UNESCO al mondo e prodotti Dop e Igp in Europa, ma siamo anche il fanalino di coda negli investimenti in cultura in Europa e siamo scesi al quindi posto come polo di attrazione turistica in Europa e questo non è dovuto a congiunture astrali: da noi c’è poca cultura dell’ospitalità”.
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SMART ART
Buone regole di ospitalità sono, ormai, anche facilitazioni nel mondo digital. “In Italia il 50% dei musei non ha un sito web. Solo il 5% di quelli che lo possiedono, prevede prenotazioni on-line. Il 3% di questi prevede un’apposita app”. Con questi numeri Suigo ha sottolineato l’arretratezza digitale nel mondo culturale italiano: “Faccio l’esempio di un’eccelleza: il Metropolitan Museum di New York. C’è un chief digital officer che attraverso strumenti innovativi ottiene risultati pazzeschi e straordinari. Ma gli strumenti usati non sono complicati”. Insomma, smart tourism per una migliore ospitalità, più veloce ed efficace. “Sono sicuro – ha affermato Suigo – che quel margine dell’1,7 può diventare anche di 3 euro”.
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